Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. (Col 3,1-3)
UNA COMUNITÀ CRISTIANA CON LA TESTA TRA LE NUVOLE
Vorrei proporvi una semplice riflessione in questo tempo di Pasqua partendo dalle affermazioni di Paolo nella lettera ai Colossesi, sopra riportate, apparentemente paradossali per una comunità cristiana che, sull’esempio del suo Signore e Maestro, è chiamata ad appassionarsi alle vicende di questa terra, di questo mondo…
Avere la testa fra le nuvole è una espressione che descrive di solito chi si lascia andare all’astrattezza dei sogni, chi è un po’ distratto dalla concretezza dell’esistenza, chi non è qui, come si dice…
Invece per un cristiano questa espressione può assumere un significato di segno opposto: sono troppe le cose, le occupazioni che ci chiudono in una visuale limitata e mortificante dell’esistenza. Non c’è solo la terra, ma c’è anche il cielo; non c’è solo l’oggi, ma c’è anche il futuro di Dio, il futuro che è Dio.
“Ciò che saremo non è stato ancora rivelato, sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato noi saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è” dice Giovanni nella sua prima lettera. E Paolo, sempre nella lettera ai Colossesi, dice che “la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio”.
Diventa quindi particolarmente eloquente l’invito pasquale a sollevare lo sguardo e con lo sguardo il cuore per cogliere e seguire ciò che è al di là dei nostri orizzonti immediati, delle nostre giornate: l’Amore del Padre che vince la morte, il volto del Cristo Risorto, il nostro destino nascosto e raccolto con Lui nel cuore di Dio.
E allora la provocazione per la nostra vita di fede diventa chiara ed esigente: possiamo dire di vivere una fede che cerca “le cose di lassù” dove è fondata la nostra speranza di non morire?
Il rischio è anche per noi di vivere appiattiti sul presente senza più alcuna tensione interiore verso le cose ultime , e quindi di lasciarci dominare dall’ansia dei tanti problemi quotidiani, reali e da affrontare ma in molti casi anche ingigantiti e opprimenti, senza prospettive di soluzione. La nostra fede invece ci propone di vivere con la forza di attendere l’invisibile e l’impossibile, di modellare le nostre scelte e il nostro stile di vita a partire dalla certezza che saremo giudicati sull’Amore e che quindi non c’è valore più grande della disposizione a servire, non c’è gioia più grande del desiderio di fare della propria vita un dono d’amore per i fratelli.
Ma quando si inseguono cose troppo vane, c’è il rischio di smarrire anche la gioia più vera, più profonda: la gioia del cuore. Rimane l’attivismo, c’è solo la parvenza di vita: si corre, l’agen da è sempre fitta di impegni, appuntamenti ma la nostra anima è altrove, è come separata da noi.
Fermarsi a volte con il naso all’in su, sostare per ascoltare il nostro cuore vuol dire riscoprirsi come cercatori di infinito, gustando il senso profondo di ogni nostro passo di condivisione della vicenda umana, camminando le strade della vita come se vedessimo l’invisibile.
don Marcellino