Alcune riflessioni del discorso di papa Francesco in apertura della settantesima Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana dello scorso 22 maggio ci possono preparare alla festa di San Barnaba che ‘chiude’ l’anno pastorale. Buona meditazione!
Cari fratelli, …
Camminare insieme è la via costitutiva della Chiesa; la cifra che ci permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio; la condizione per seguire il Signore Gesù ed essere servi della vita in questo tempo ferito.
Respiro e passo sinodale rivelano ciò che siamo e il dinamismo di comunione che anima le nostre decisioni. Solo in questo orizzonte possiamo rinnovare davvero la nostra pastorale e adeguarla alla missione della Chiesa nel mondo di oggi; solo così possiamo affrontare la complessità di questo tempo, riconoscenti per il percorso compiuto e decisi a continuarlo con parresia.
In realtà, questo cammino è segnato anche da chiusure e resistenze: le nostre infedeltà sono una pesante ipoteca posta sulla credibilità della testimonianza del depositum fidei, una minaccia ben peggiore di quella che proviene dal mondo con le sue persecuzioni. Questa consapevolezza ci aiuta a riconoscerci destinatari delle Lettere alle Chiese con cui si apre l’Apocalisse (1,4–3,22), il grande libro della speranza cristiana. Chiediamo la grazia di saper ascoltare ciò che lo Spirito oggi dice alle Chiese; accogliamone il messaggio profetico per comprendere cosa vuole curare in noi: “Vieni, padre dei poveri; vieni, datore dei doni; vieni, luce dei cuori”.
Come la Chiesa di Efeso, forse a volte anche noi abbiamo abbandonato l’amore, la freschezza e l’entusiasmo di un tempo… Torniamo alle origini, alla grazia fondante degli inizi; lasciamoci guardare da Gesù Cristo, il «Sì» del Dio fedele, l’unum necessarium: Questa nostra assemblea qui radunata non brilli d’altra luce se non di Cristo, che è la lu-ce del mondo; i nostri animi non cerchino altra verità se non la parola del Signore, che è il nostro unico maestro; non preoccupiamoci d’altro se non di obbedire ai suoi precetti con una sottomissione fedele in tutto; non ci sostenga altra fiducia se non quella che corrobora la nostra flebile debolezza, perché si fonda sulle sue parole: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20) (Paolo VI, Discorso per l’inizio della seconda sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 29 settembre 1963).
Come la Chiesa di Smirne, forse anche noi nei momenti del-la prova siamo vittima della stanchezza, della solitudine, del turbamento per l’avvenire; restiamo scossi nell’accor-gerci di quanto il Dio di Gesù Cristo possa non corrispondere all’immagine e alle attese dell’uomo ‘religioso’: delude, sconvolge, scandalizza. Custodiamo la fiducia nell’iniziativa sorprendente di Dio, la forza della pazienza e la fedeltà dei confessori: non avremo a temere la seconda morte.
Come la Chiesa di Pergamo, forse anche noi talvolta cerchiamo di far convivere la fede con la mondanità spirituale, la vita del Vangelo con logiche di potere e di successo, forzatamente presentate come funzionali all’immagine sociale della Chiesa. Il tentativo di servire due padroni è, piuttosto, indice della mancanza di convinzioni interiori. Impariamo a rinunciare a inutili ambizioni e all’ossessione di noi stessi per vivere costantemente sotto lo sguardo del Signore, presente in tanti fratelli umiliati: incontreremo la Verità che rende liberi davvero.
Come la Chiesa di Tiatira, siamo forse esposti alla tentazione di ridurre il Cristianesimo a una serie di principi privi di concretezza. Si cade, allora, in uno spiritualismo disincarnato, che trascura la realtà e fa perdere la tenerezza della carne del fratello. Torniamo alle cose che contano veramente: la fede, l’amore al Signore, il servizio reso con gioia e gratuità. Facciamo nostri i sentimenti e i gesti di Gesù ed entreremo davvero in comunione con Lui, stella del mattino che non conosce tramonto.
Come la Chiesa di Sardi, possiamo forse essere sedotti del-l’apparenza, dall’esteriorità e dall’opportunismo, condizionati dalle mode e dai giudizi altrui. La differenza cristiana, invece, fa parlare l’accoglienza del Vangelo con le opere, l’obbedienza concreta, la fedeltà vissuta; con la resistenza al prepotente, al superbo e al prevaricatore; con l’amicizia ai piccoli e la condivisione ai bisognosi. Lasciamoci mettere in discussione dalla carità, facciamo tesoro della sapienza dei poveri, favoriamone l’inclusione; e, per misericordia, ci ritroveremo partecipi del libro della vita.
Come la Chiesa di Filadelfia, siamo chiamati alla perseveranza, a buttarci nella realtà senza timidezze: il Regno è la pietra preziosa per cui vendere senza esitazione tutto il resto e aprirci pienamente al dono e alla missione. Attraversiamo con coraggio ogni porta che il Signore ci schiude davanti. Approfittiamo di ogni occasione per farci prossimo. Anche il miglior lievito da solo rimane immangiabile, mentre nella sua umiltà fa fermentare una gran quantità di farina: mescoliamoci alla città degli uomini, collaboriamo fattivamente per l’incontro con le diverse ricchezze culturali, impegniamoci insieme per il bene comune di ciascuno e di tutti. Ci ritroveremo cittadini della nuova Gerusalemme.
Come la Chiesa di Laodicea, conosciamo forse la tiepidezza del compromesso, l’indecisione calcolata, l’insidia dell’am-biguità. Sappiamo che proprio su questi atteggiamenti si ab-batte la condanna più severa. Del resto, ci ricorda un testimone del Novecento, la grazia a buon mercato è la nemica mortale della Chiesa: misconosce la vivente parola di Dio e ci preclude la via a Cristo. La vera grazia – costata la vita del Figlio – non può che essere a caro prezzo: perché chiama alla sequela di Gesù Cristo, perché costa all’uomo il prezzo della vita, perché condanna il peccato e giustifica il peccatore, perché non dispensa dall’opera… È a caro prezzo, ma è grazia che dona la vita e porta a vivere nel mondo senza perdersi in esso (cfr. D. Bonhoeffer, Sequela). Apriamo il cuore al bussare dell’eterno Pellegrino: facciamolo entrare, ceniamo con Lui. Ripartiremo per arrivare in ogni dove con un annuncio di giustizia, fraternità e pace.
Cari fratelli, il Signore non punta mai a deprimerci, per cui non attardiamoci sui rimproveri, che nascono comunque dall’amore (cf. Ap. 3,19) e all’amore conducono. Lasciamoci scuotere, purificare e consolare: “Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato”.
Ci è chiesta audacia per evitare di abituarci a situazioni che tanto sono radicate da sembrare normali o insormontabili. La profezia non esige strappi, ma scelte coraggiose, che sono proprie di una vera comunità ecclesiale: portano a lasciarsi «disturbare» dagli eventi e dalle persone e a calarsi nelle situazioni umane, animati dallo spirito risanante delle Beatitudini. Su questa via sapremo rimodellare le forme del nostro annuncio, che si irradia innanzitutto con la carità. Muoviamoci con la fiducia di chi sa che anche questo tempo è un kairos, un tempo di grazia abitato dallo Spirito del Risorto: a noi spetta la responsabilità di riconoscerlo, accoglierlo e assecondarlo con docilità…
Francesco