Dalle Letture ascoltate vorrei cogliere tre parole: un sostantivo,
un verbo e un aggettivo. Il sostantivo è il monte: ne parla
Isaia, profetizzando di un monte del Signore, alto sopra i colli, a cui
affluiranno tutte le genti (Is 2,2). Il monte ritorna nel Vangelo,
dato che Gesù, dopo la sua risurrezione, indica ai discepoli come luogo di
ritrovo un monte della Galilea, proprio quella Galilea popolata da molte genti
diverse, la «Galilea delle genti» (Mt 4,15). Sembra, insomma, che
il monte sia il luogo dove Dio ami dare appuntamento all’umanità intera. È il
luogo dell’incontro con noi, come mostra la Bibbia dal Sinai al Carmelo fino a
Gesù, che proclamò le Beatitudini sulla montagna, si trasfigurò sul monte
Tabor, diede la vita sul Calvario e ascese al cielo dal Monte degli Ulivi. Il
monte, luogo dei grandi incontri tra Dio e l’uomo, è anche il posto dove Gesù
trascorse ore e ore in preghiera (cfr Mc 6,46), a unire terra
e Cielo, noi suoi fratelli al Padre.
Che cosa dice a noi il monte? Che siamo
chiamati ad avvicinarci a Dio e agli altri: a Dio, l’Altissimo, nel silenzio,
nella preghiera, prendendo le distanze dalle chiacchiere e dai pettegolezzi che
inquinano. Ma anche agli altri, che dal monte si vedono in un’altra
prospettiva, quella di Dio che chiama tutte le genti: dall’alto gli altri si
vedono nell’insieme e si scopre che l’armonia della bellezza è data solo
dall’insieme. Il monte ci ricorda che i fratelli e le sorelle non vanno
selezionati, ma abbracciati, con lo sguardo e soprattutto con la vita. Il monte
lega Dio e i fratelli in un unico abbraccio, quello della preghiera. Il monte
ci porta in alto, lontano da tante cose materiali che passano; ci invita a
riscoprire l’essenziale, ciò che rimane: Dio e i fratelli. La missione inizia
sul monte: lì si scopre ciò che conta. Al cuore di questo mese missionario
chiediamoci: che cosa conta per me nella vita? Quali sono le vette a cui
punto?
Un verbo accompagna il sostantivo monte: salire. Isaia ci
esorta: «Venite, saliamo sul monte del Signore» (2,3). Non
siamo nati per stare a terra, per accontentarci di cose piatte, siamo nati per
raggiungere le altezze, per incontrare Dio e i fratelli. Ma per questo bisogna
salire: bisogna lasciare una vita orizzontale, lottare contro la forza di
gravità dell’egoismo, compiere un esodo dal proprio io. Salire, perciò, costa
fatica, ma è l’unico modo per vedere tutto meglio, come quando si va in
montagna e solo in cima si scorge il panorama più bello e si capisce che non lo
si poteva conquistare se non per quel sentiero sempre in salita. E
come in montagna non si può salire bene se si è appesantiti di cose, così nella
vita bisogna alleggerirsi di ciò che non serve. È anche il segreto della
missione: per partire bisogna lasciare, per annunciare bisogna rinunciare.
L’annuncio credibile non è fatto di belle parole, ma di vita buona: una vita di
servizio, che sa rinunciare a tante cose materiali che rimpiccioliscono il
cuore, rendono indifferenti e chiudono in sé stessi; una vita che si stacca
dalle inutilità che ingolfano il cuore e trova tempo per Dio e per gli altri.
Possiamo chiederci: come va la mia salita? So rinunciare ai bagagli pesanti
e inutili delle mondanità per salire sul monte del Signore? La mia strada è in
salita o in “arrampicamento”?
Se il monte ci ricorda ciò che conta – Dio e i fratelli, e
il verbo salire come arrivarci, una terza parola risuona oggi come la più
forte. È l’aggettivo tutti, che
prevale nelle Letture: «tutte le genti», diceva Isaia (2,2); «tutti i
popoli», abbiamo ripetuto nel Salmo; Dio vuole «che tutti gli
uomini siano salvati», scrive Paolo (1 Tm 2,4); «andate e fate
discepoli tutti i popoli», chiede Gesù nel Vangelo (Mt 28,19).
Il Signore è ostinato nel ripetere questo tutti. Sa che noi siamo
testardi nel ripetere “mio” e “nostro”: le mie cose, la nostra gente, la nostra
comunità…, e Lui non si stanca di ripetere: “tutti”. Tutti, perché nessuno è
escluso dal suo cuore, dalla sua salvezza; tutti, perché il nostro cuore vada
oltre le dogane umane, oltre i particolarismi fondati sugli egoismi che non
piacciono a Dio. Tutti, perché ciascuno è un tesoro prezioso e il senso della
vita è donare agli altri questo tesoro. Ecco la missione: salire sul monte a
pregare per tutti e scendere dal monte per farsi dono a tutti.
Salire e scendere: il cristiano, dunque, è sempre in movimento, in
uscita. Andate è infatti l’imperativo di Gesù nel Vangelo. Tutti
i giorni incrociamo tante persone, ma – possiamo chiederci – andiamo
incontro alle persone che troviamo? Facciamo nostro l’invito di Gesù o ce ne
stiamo per i fatti nostri? Tutti si aspettano cose dagli altri, il
cristiano va verso gli altri. Il testimone di Gesù non è mai
in credito di riconoscimento dagli altri, ma in debito di amore verso chi non
conosce il Signore. Il testimone di Gesù va incontro a tutti, non solo ai suoi,
nel suo gruppetto. Gesù dice anche a te: “Va’, non perdere l’occasione di
testimoniare!”. Fratello, sorella, il Signore si aspetta da te quella
testimonianza che nessuno può donare al tuo posto. «Voglia il Cielo che tu
possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera
dire al mondo con la tua vita, […] così la tua preziosa missione non andrà
perduta» (Es-ap. Gaudete et exsultate, 24).
Quali istruzioni ci dà il Signore per andare verso tutti? Una
sola, molto semplice: fate discepoli. Ma,
attenzione: discepoli suoi, non
nostri. La Chiesa annuncia bene solo se vive da discepola. E il discepolo segue
ogni giorno il Maestro e condivide con gli altri la gioia del discepolato. Non
conquistando, obbligando, facendo proseliti, ma testimoniando,
mettendosi allo stesso livello, discepoli coi discepoli, offrendo con amore
quell’amore che abbiamo ricevuto. Questa è la missione: donare aria pura, di
alta quota, a chi vive immerso nell’inquinamento del mondo; portare in terra
quella pace che ci riempie di gioia ogni volta che incontriamo Gesù sul monte,
nella preghiera; mostrare con la vita e persino a parole che Dio ama tutti e
non si stanca mai di nessuno.
Cari fratelli e sorelle, ciascuno di noi ha, ciascuno di
noi “è una missione su questa terra” (Es. ap. Evangelii gaudium, 273). Siamo qui per testimoniare, benedire, consolare,
rialzare, trasmettere la bellezza di Gesù. Coraggio, Lui si aspetta tanto da
te! Il Signore ha una sorta di ansia per quelli che non sanno ancora di essere
figli amati dal Padre, fratelli per i quali ha dato la vita e lo Spirito Santo.
Vuoi placare l’ansia di Gesù? Vai con amore verso tutti, perché la tua vita è
una missione preziosa: non è un peso da subire, ma un dono da offrire.
Coraggio, senza paura: andiamo verso tutti!