C’era
anche una rappresentanza di Gratosoglio venerdì 31 gennaio alla Messa per gli
Oratori, voluta nell’ambito di Oratorio 2020, il cammino in cui gli oltre mille
oratori della diocesi di Milano stanno ripensando i propri progetti educativi.
Il
Duomo, dove si è svolta la celebrazione, era affollatissimo di genitori,
educatori e bambini, anche molto piccoli. Don Giovanni e i nostri chierichetti
si sono sistemati nel transetto destro, insieme agli oltre duecento sacerdoti e
ai circa quattrocento ministranti. Il resto del nostro gruppo, tranne suor
Agnese, è riuscito invece a sedersi nella navata sinistra, in un punto dove la
celebrazione poteva essere seguita tramite uno schermo.
L’introduzione
di don Mario Antonelli, Vicario episcopale per l’educazione e la celebrazione
della fede, conteneva la certezza che lo sguardo d’amore del Signore si posa
ancora sugli oratori, «antichi e ancora nuovi e preziosi». È lo stesso sguardo
con cui, nel brano del Vangelo secondo Marco scelto per l’occasione, Gesù fissò
quel tale che cercava risposte per la propria felicità.
L’Arcivescovo
monsignor Mario Delpini, nella sua omelia, ha ribadito più volte: «La comunità
cristiana è incaricata di offrire la risposta di Gesù» al grido che indica un
desiderio di vita felice, vera, buona per tutti. Una risposta, però, che non è
aggressività né rassegnazione. È piuttosto la presenza più accessibile, in cui
tutti sono benvenuti.
L’oratorio,
quindi, è «una delle forme geniali», la più diffusa in diocesi, «che la
comunità cristiana ha creato per accompagnare le giovani generazioni perché
imparino a percorrere la via della vita». Un’intuizione fatta propria da san
Giovanni Bosco, come pure dal Beato Andrea Carlo Ferrari, che nei suoi anni
sulla cattedra di sant’Ambrogio volle un oratorio in ogni parrocchia, e dagli
educatori anche laici che, in oltre cent’anni, hanno dato vita a questa realtà.
Dalle
letture da poco proclamate, l’Arcivescovo ha tratto tre indicazioni che
sintetizzano la proposta educativa oratoriana. La prima è il nome stesso di
Gesù, da conoscere e seguire, col quale parlare. La seconda è «Correre», ossia «il
modo di vivere di chi ha conosciuto Gesù e sperimenta il suo amore che salva»,
descritto dall’apostolo san Paolo nella Lettera ai Filippesi. La terza è
rappresentata dalle «Opere di misericordia» tramite le quali la fede si fa
operosa, come sprona l’apostolo san Giacomo nella sua Lettera: in questo modo,
chi vive l’oratorio sa anche uscire da esso per stare con chi è solo.
Sono
indicazioni che nei nostri oratori cerchiamo di tradurre, mediante proposte
educative che lascino un segno duraturo e non si riducano solo a momenti
piacevoli da vivere insieme. Aver voluto il nuovo Oratorio-Centro Parrocchiale
San Barnaba, che presto vedrà l’inaugurazione ufficiale, corrisponde
esattamente a proporre all’intero quartiere uno stile di vita diverso da quello
che invece offre la logica del mondo.
Anche
il Campus di Educazione alla Pace, che ci apprestiamo a vivere per la quinta
volta, non è slegato dalla proposta educativa degli oratori di Maria Madre
della Chiesa e San Barnaba. Infatti, propone un modello diverso per vivere
insieme, necessario non solo al nostro territorio. Non potevamo che accogliere
con favore, perciò, l’ultimo «editto» di monsignor Delpini, nei saluti prima
della benedizione finale: un impegno a radunarsi, alle 6.28 delle mattine di
Quaresima, per pregare insieme a lui per la pace.
Al
termine della Messa siamo usciti in piazza del Duomo per partecipare al
flash-mob, ossia al raduno festoso, organizzato dalla Fondazione Oratori
Milanesi. Abbiamo contribuito a comporre la scritta «Oratorio 2020» con le
torce dei nostri telefoni cellulari; precisamente, eravamo in corrispondenza
della lettera «R».
Emilia Flocchini