Ho ripensato a questo atteggiamento di vita particolarmente significativo per dei cristiani mentre preparavo l’incontro di gennaio con i visitatori e quello di settimana scorsa con le persone che esercitano qualche forma di servizio nella nostra comunità.
Mi chiedevo: che senso hanno o possono avere questi incontri al di là ed oltre la loro dimensione più organizzativa? Che cosa sono o vogliono essere al di là e oltre il confronto di esperienze e di opinioni? Come possono diventare momenti di crescita spirituale per coloro che vi partecipano e per il cammino della comunità?
Noi siamo, come tendenza/tentazione, orientati e presi dalla operosità, per cui ci sembra tempo perso quello dedicato alla riflessione comune, al confronto reciproco, perché poi “non succede niente”, “tutte chiacchiere”.
Se ascoltiamo in profondità queste osservazioni vi cogliamo una parte di verità, nel descrivere qualche “deriva” che le riunioni comunitarie possono rischiare e che già Paolo a suo tempo denunciava: “le discussioni vane, che non giovano a nulla … chiacchiere vuote che si propagano come una cancrena …”.
Nello stesso tempo però Paolo invitava a “non disertare” le riunioni della comunità, a parteciparvi in modo ordinato e costruttivo, con “parole che edificano e non distruggono”, e la comunità dei discepoli/fratelli di Gesù è descritta in Luca come la famiglia degli “ascoltatori operosi della parola di Dio”.
Nessuna contrapposizione quindi tra “riunioni e azioni” ma l’invito a coglierne la profonda unitarietà: si opera evangelicamente solo se si ascolta la Parola mettendola in pratica.
In questa prospettiva è solo il desiderio profondo di una verifica evangelica che ci permette di vivere entrambi i momenti nella loro complementarietà.
La domanda che mi portavo nel cuore e dalla quale sono partito per questa riflessione trova qui allora una possibile risposta: i nostri incontri potrebbero essere i luoghi umano-spirituali dove possiamo rivedere evangelicamente la nostra vita, le nostre scelte, i nostri desideri, le nostre azioni.
Ecco perché mi pare fondamentale la capacità di “fare memoria”, non nel senso psicologico (siamo in tanti ad essere vecchi e quindi a “dimenticare”, siamo un po’ in meno ad essere giovani e quindi a “trascurare”) e neanche nel senso di una sorta di nostalgia per i “bei tempi andati” o “brutti tempi scansati”, ma più profondamente nel senso di un “ricordare” (richiamare al cuore) che la nostra vita, la nostra “storia” è all’interno della Storia della Salvezza: questa profonda convinzione siamo chiamati a “custodire” come comunità cristiana. I nostri “incontri/riunioni/assemblee” (delle quali fondamentale è l’Eucaristia domenicale, memoriale della Pasqua di Gesù) diventano quindi il luogo dove ci ricordiamo l’uno l’altro e impariamo l’uno dall’altro come vivere il legame fraterno che scaturisce dalla rivelazione della paternità di Dio e della nostra comune figliolanza, nelle concrete povertà ed inadeguatezze.
La Chiesa vera e reale è stata e sempre sarà non una comunità di perfetti, ma una comunità di donne e uomini che vivono del perdono e della misericordia di Dio: nell’accoglimento vicendevole questo dobbiamo testimoniarci gli uni gli altri.
In questa prospettiva l’insegnamento di papa Francesco è veramente provocatorio.
Al riguardo vorrei soprattutto ricordare i suoi richiami al valore del tempo che “gratuitamente” ci diamo per richiamarci quale è l’orizzonte più vasto della nostra vita, quali passi è possibile fare in quella direzione, quali “processi” di conversione possiamo concretamente iniziare.
Credo che tenere presente questi suggerimenti ci aiuterebbe a vivere con partecipazione e libertà di cuore anche “le nostre riunioni” (quelle essenziali naturalmente!).
don Marcellino