17 ottobre 2020

Come ho vissuto la beatificazione di Carlo Acutis



È trascorsa appena una settimana dalla beatificazione di Carlo Acutis ad Assisi, ma non accennano a venire meno i commenti e le considerazioni sulla sua figura e sul perché sia stato elevato agli onori degli altari diventando, peraltro, il più giovane Beato della nostra Diocesi.

Anche due nostre parrocchiane, ossia io che scrivo e Rosina Corona, hanno fatto parte del pellegrinaggio organizzato dal Servizio di Pastorale del Turismo della Diocesi di Milano e dall’agenzia Duomo Viaggi, così da poter seguire direttamente questo appuntamento che, inaspettatamente ma non troppo, ha avuto una risonanza superiore a quanto normalmente accade per celebrazioni del genere.

I partecipanti erano in tutto trentadue, aumentati a trentaquattro con l’arrivo di una coppia di giovani sposi. Non tutti provenivano da Milano, o comunque dal territorio diocesano: la mia compagna di stanza, per esempio, era una ventenne dell’Ecuador, Nicole, che però aveva parenti dalle nostre parti. Parlando con me, si è mostrata realmente entusiasta di essere nella città di san Francesco, dove il Beato Carlo dichiarava di sentirsi a sua volta particolarmente felice.

Tutti i pellegrini sentivano di essere più o meno legati a lui, o perché ne avevano sentito parlare sui mezzi di comunicazione, o perché sentivano di aver ricevuto segni che li avevano persuasi di dover partire per quel viaggio. Quanto a me, conoscevo la storia di Carlo dall’uscita della sua prima biografia, a un anno dalla sua morte, ma non mi ero decisa a leggerla finché non me l’hanno regalata alcune suore, nel 2008. Da allora ho iniziato a partecipare alla Messa in suo suffragio nella sua parrocchia, ogni anno, a ridosso del 12 ottobre.

Nel corso degli anni ho seguito le tappe del suo velocissimo cammino verso gli altari, ora meravigliandomi, ora arrabbiandomi perché per altre storie, anche nella nostra Diocesi, che mi sembravano meritevoli di essere indagate dall’autorità ecclesiale con la serietà necessaria, non c’era stata la stessa attenzione rivolta al giovanissimo Acutis.

Quando poi ho letto la notizia del decreto sul miracolo, ho deciso di partecipare alla beatificazione, come già avevo fatto per le celebrazioni a Milano del 30 aprile 2006 (Beati Luigi Biraghi e Luigi Monza), del 25 ottobre 2009 (Beato Carlo Gnocchi), del 26 giugno 2011 (Beati Serafino Morazzone, Clemente Vismara ed Enrichetta Alfieri) e del 7 ottobre 2017 (Beato Arsenio da Trigolo). Ho atteso che venisse fissata la data e, appena l’ho saputa, ho iniziato a sperare nell’organizzazione di un viaggio da qui.

Nel nostro pullman viaggiavano anche il parroco di Santa Maria Segreta, don Maurizio Corbetta, che mi aveva conosciuta quand’ero bambina, e il vicario parrocchiale per la pastorale giovanile, don Matteo Baraldi: con lui e con i giovani del Decanato Vercellina, noi del Decanato Navigli avevamo condiviso trasporti e alloggio nella Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia. La loro parrocchia è legata alla nostra perché ha accettato di sostenere alcune famiglie di Maria Madre della Chiesa, permettendo loro l’acquisto di buoni spesa; è una sorta di “adozione a vicinanza”, come la chiamano sul loro sito (del quale, va ricordato, il Beato Carlo fu uno dei promotori).

C’era anche don Mario Bonsignori, responsabile diocesano del Servizio per la Disciplina dei Sacramenti, al quale ho dedicato il mio primo articolo da corrispondente per conto del Portale diocesano www.chiesadimilano.it. Dopo che avevo saputo, infatti, che nessuno dei nostri giornalisti sarebbe stato presente, a parte alcuni collaboratori per le Comunicazioni Sociali della Fondazione Oratori Milanesi, mi sono offerta per svolgere questo servizio. Non ritenevo giusto, infatti, che a livello comunicativo si percepisse una sorta di disinteresse da parte della nostra Diocesi riguardo al racconto della beatificazione di Carlo, solo per il fatto che il centro del suo culto – ormai si può definire così – è diventata Assisi, non la nostra città, dove comunque lui ha vissuto gran parte dei suoi quindici anni.

Insieme ai miei compagni di viaggio, ho quindi visitato di nuovo (ci ero già stata col pellegrinaggio decanale del 2016) le Basiliche di San Francesco, autentico patrimonio dell’umanità al di là della dichiarazione dell’Unesco. Ho pregato, anche se il clima caotico e la preoccupazione per il distanziamento sociale non aiutavano, per la nostra Nazione e per chi la governa, specie in questo periodo di emergenza sanitaria non ancora conclusa. Ho ammirato non solo le pietre e gli affreschi, ma anche la storia santa di Francesco e dei suoi compagni.

Quanto alla sosta presso il Santuario della Spogliazione, ossia la chiesa di Santa Maria Maggiore, l’antica cattedrale di Assisi, dove da più di un anno sono conservati i resti mortali del novello Beato, l’ho vissuta forse troppo frettolosamente. Da una parte ero perplessa non tanto per l’ostensione in sé – visitando spesso altre chiese e santuari, sono allenata a contemplare urne con corpi composti in maniera più o meno decorosa – quanto per il fatto che fosse stata anticipata a prima della beatificazione (il vescovo ha addotto ragioni di opportunità, per evitare che dopo il 10 ci fosse troppa folla), mentre dall’altra, di nuovo, ero preoccupata per eventuali assembramenti. Ho comunque affidato all’intercessione di Carlo le nostre comunità giovanili, ma anche i più piccoli della mia famiglia e i ragazzi che ora frequentano l’oratorio dove sono cresciuta.
La veglia sul piazzale della basilica di Santa Maria degli Angeli mi ha riportata con la memoria e le sensazioni fisiche alla GMG del 2005: faceva freddo, non ero vestita adeguatamente e avevo ascoltato le parole di un maestro nella fede, ossia uno dei nostri vescovi ausiliari, monsignor Paolo Martinelli. Il tutto aveva anticipato un tempo prolungato di adorazione dell’Eucaristia, così da far comprendere pienamente cosa Carlo intendesse dire definendola «la mia autostrada per il Cielo». Questa volta, però, non sono finita all’ospedale da campo, come invece accadde quindici anni fa.
Il mattino seguente abbiamo invece visitato, aiutati dalla nostra guida, Cinzia, la basilica stessa, dalla quale il nostro albergo era separato da un brevissimo tratto di strada. Lì abbiamo sostato nella chiesa primitiva, dove san Francesco ascoltò il Vangelo che gli cambiò la vita e dove volle essere portato, ormai moribondo. Abbiamo poi osservato gli ambienti che ricordano il suo legame con la creazione, specie con gli animali, e speso il resto della mattinata in acquisti per noi e per quanti ci avevano chiesto un ricordo più materiale.
Alle 15 eravamo di nuovo ad Assisi. I nostri pass indicavano che il settore che ci spettava era nel piazzale San Francesco Inferiore: solo i sacerdoti potevano accedere alla Basilica Superiore, dove si è tenuta la Messa col Rito della Beatificazione. Quanto a me, grazie al direttore del Portale e di Milano Sette, che non finirò mai di ringraziare per la fiducia che mi ha riservato, ho potuto accedere alla Sala Stampa del Sacro Convento, vedendo per la prima volta cosa significhi comunicare a livello professionale un grande evento ecclesiale.
Nel momento in cui il cardinal Agostino Vallini, rappresentante pontificio, ha letto la Lettera apostolica con la quale Carlo Acutis veniva dichiarato Beato, credo di essere stata l’unica a interrompere il lavoro e ad alzarsi in piedi. Poi sono uscita dalla sala, per osservare i fedeli sottostanti che applaudivano, mentre veniva svelato il ritratto esposto nella Basilica.

Pochi istanti dopo, ho preso una decisione, anzi, ho rinnovato quella che da tempo mi anima e che mi ha spinta, nel 2012, ad aprire il mio blog, Testimoniando: farò di tutto perché ogni storia di Santi, Beati, Venerabili, Servi di Dio e persone in fama di santità (anche viventi, sperando di non dovermi ricredere) diventi una buona notizia per tutti, esattamente come il cardinale, nella sua omelia, ha di lì a poco dichiarato nei riguardi di Carlo. Nonostante potessi scrivere in un ambiente calmo, mi sono dimenticata, nel mio pezzo per il Portale, di riportare che il cardinal Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, era tra i concelebranti principali.

Il giorno dopo abbiamo lasciato Santa Maria degli Angeli per Cortona, città di adozione della penitente santa Margherita e luogo natale dei pittori Luca Signorelli e Gino Severini. Abbiamo osservato con attenzione le loro opere, custodite, insieme a un’Annunciazione del Beato Angelico, nel Museo Diocesano. Sulla stessa piazza, che dà su un panorama spettacolare sulla Valdichiana, sorge anche il Duomo, dove abbiamo celebrato la Messa in Rito Ambrosiano.

Don Maurizio ha tenuto un’omelia che contribuisce, se ben meditata, a smorzare gli eccessi di cui abbiamo letto sui media cattolici e non. In particolare, quelli riguardanti il dibattito se, nel parlare del nuovo Beato specie ai bambini e ai ragazzi, bisogni evidenziare i suoi lati più eccezionali o quelli più normali.
Ogni Santo, ha dichiarato il sacerdote, costituisce un richiamo all’unica mediazione che Gesù compie per noi presso Dio Padre, di fronte al quale sta in tutta la sua persona, umana e divina. Essere devoti al tale o al talaltro personaggio non è sbagliato di per sé; lo diventa quando l’oggetto della devozione è sostituito al Signore, che lui (o lei, o loro se si tratta di coppie o gruppi) ha invocato nel corso del proprio percorso sulla terra. Ora è come se Carlo ci ricordasse: «Non dovete arrivare a me e concludere lì l’esperienza: sono anch’io, a mia volta, uno che intercede presso colui che resta l’unico grande mediatore».
Anche nel fare la cronaca di quell’ultima celebrazione ho dimenticato un particolare di non poco conto: si era svolta a mezzogiorno, quindi dovevo far riferimento alle parole di papa Francesco all’Angelus. Come avviene ogni volta che la Chiesa proclama dei nuovi Beati, ha presentato Carlo così: «Egli non si è adagiato in un comodo immobilismo, ma ha colto i bisogni del suo tempo, perché nei più deboli vedeva il volto di Cristo. La sua testimonianza indica ai giovani di oggi che la vera felicità si trova mettendo Dio al primo posto e servendolo nei fratelli, specialmente gli ultimi».
Sul pullman, don Maurizio ha dato appuntamento ai pellegrini alla Messa delle 10.30 del 1° novembre, quando, a Santa Maria Segreta, verrà esposto un quadro del Beato. Personalmente, auspico che anche nelle nostre parrocchie e nei nostri oratori si trovi posto per un suo ritratto.

 

Emilia Flocchini
(autrice anche delle foto nel post)