Dalla cronaca dell’incontro riportata sul portale chiesadimilano.it riportiamo alcuni passaggi per permettere a tutti di prendere parte a questo appuntamento prezioso.
Dalla periferia la possibilità di una rivoluzione cristiana.
«Qualche settimana Lei, Eminenza, confidava che, da giovane, era venuto nel nostro quartiere per fare il volontario aiutando bambini con qualche difficoltà scolastica», racconta don Giovani.
«Quante storie di potrebbero raccontare, storie di degrado, ma anche di santità nascoste che ti aiutano a superare la logica della disperazione. Nelle domande di questi ragazzi invito tutti a scorgere un segno di tale speranza. Qui si sperimenta la preziosa ricchezza di percepire l’altro come possibilità: da questa periferia si può sprigionare una rivoluzione cristiana», conclude don Giovanni, richiamando l’immobilismo di politiche miopi e un assistenzialismo pernicioso. Poi, subito il dialogo, che si articola in 6 domande.
Immigrazione Chiesa, Istituzioni e società civile.
Andy chiede se sia possibile che qualcosa «venga fatto nei nostri Paesi perché non avvengano più le tragedie come quelle degli immigrati»; Omar, «come vivere nel-la società dove si ha paura dello straniero?; Enrico, che vive al Gratosoglio, domanda se «in questa periferia, sia possibile avviare una collaborazione fissa tra autorità di diverse religioni». «Mi sta a cuore un dialogo di livello internazionale a partire da un quartiere vitale in cui ci sono persone come voi. Persone che vogliono affrontare i problemi, che non restringono lo sguardo solo al loro ombelico, che intendono agire perché si trovi una strada seria verso la pace, la giustizia, il superamento di ogni forma di esclusione», chiarisce Scola, spiegando la ragione della sua presenza. «Per la mia esperienza trovo i giovani brillanti, tutta’altro che fannulloni o bambinoni», nota il Cardinale che definisce importanti le domande poste e fa riferimento immediato all’idea di futuro. «Il futuro ci sarà se avverrà un cambiamento a due livelli, anzitutto se le Istituzioni politiche locali, nazionali e internazionali si decideranno valorizzare il soggetto, eliminando discriminazioni di ogni tipo. Le Istituzioni sono espressione della società e, quindi, dipendono, in ultima istanza, da noi, perché si concepiscano a servizio della società civile, che in Italia è la più ricca di Europa», osserva l’Arcivescovo che torna, con accenti di sofferenza anche personale evidente, sul dramma dell’immigra-zione «non più un’emergenza, ma una problematica strutturale che ci accompagnerà almeno per qualche decennio. Ecco, perché i giovani sono importanti».
Ma come affrontare questo dramma? «Agendo». Cita, il Cardinale, la “Fondazione Oasis” da lui fondata proprio per conoscersi meglio tra le due sponde del Mediterraneo. «Nel dialogo con i nostri fratelli musulmani mi sono reso conto che per tentare di capire un cambiamento così radicale, come è l’immigrazione, si devono giocare tre realtà: la Chiesa che può fare il primo intervento, le Istituzioni che devono fare una politica equilibrata almeno a livello europeo, mettendo in campo una sorta di Piano Marshall e offrendo, così, una risposta organica, anche se purtroppo, oggi, l’Europa non sta usando un linguaggio comune: ci sono Paesi che fanno ponti e chi fa muri».
Poi, il terzo cruciale soggetto: «La società civile come la vostra del Gratosoglio dove lo stare, giorno dopo giorno, vicini a persone diverse per etnia e cultura fa conoscere la comune umanità con le sue esperienze decisive, la vita, gli affetti, il lavoro, lo stile di riposo, il dolore fisico e morale, la morte, la costruzione di una società plurale, sapendo che dobbiamo vivere insieme». Ma la condizione per tutto questo è «cambiare qui e ora a livello personale e comunitario». «Il timore si può capire, perché l’immigra-zione è stata veloce in Italia, ma la paura è sempre cattiva consigliera e non porta da nessuna parte. L’esperienza che state facendo è un gesto di cambiamento e di apertura alla speranza: dovete continuarlo non solo una volta all’anno qui, ma stando in contatto permanente tra voi, costruendo una rete tra i vostri Paesi. Sono queste forme che costruiranno il futuro, “facendo” il volto del nuovo cittadino europeo».
Terrorismo, religione e speranze di futuro e pace.
Ancora interrogativi. Leila chiede: «Perché gli atti terroristici si identificano con la religione islamica?» «Siamo consapevoli che il terrorismo non è identificabile con l’Islam, ma occorre riconoscere che, nella storia, le forme di terrorismo hanno sempre sfruttato la religione, usurpandone il nome e deformandolo. È sbagliato identificare il terrorismo con l’Islam così come è sbagliato identificare il Cristianesimo con le Crociate o attribuire un atto di vandalismo a un intero quartiere. Tuttavia, bisogna che la parte sana di una religione, di un quartiere prenda l’iniziativa, circondando il male con il bene. Questa strada necessita che ciascuno di noi trovi un senso per la propria vita». Senso, che trova nella gioventù una stagione privilegiata e che è direzione di cammino e significato, è il “per Chi” vivo. «In un mondo come il nostro, che è omologato, non è facile vivere questo senso tutti i giorni, ma bisogna avere la pazienza di educarsi con gesti buoni come è quello che state facendo».
«Perché di superi la tragedia terribile del terrorismo bisogna che assumiamo tutta la realtà, aperti a ognuno. Ricordiamoci che entriamo nel mondo per chi ci ha donato la vita e possiamo rispondere a questo dono, offrendola a nostra volta. Il terrorista non è un martire, perché il martire non sparge il sangue degli altri, ma dona il suo. L’uomo-bomba è qualcuno che mette in gioco la vita di un altro senza nessun riguardo verso la dignità della persona e, quindi, ovunque sorga il terrorismo, vi è sempre negazione e aberrazione dell’umano. Abbiamo bisogno di ragazzi che vogliono vivere degnamente, costruire società giusta, rispettosa della libertà degli altri». Dal Cardinale viene una sorta di “preghiera” comprensibile, nella sua laicità “alta”, a ogni latitudine. «Tutti noi possiamo da subito arginare il male con il bene, ma dobbiamo accettare di cambiare la nostra vita in ciò che non va, non cessando mai di amare l’altro come altro, come diverso da me. Ho speranza del futuro, voi giovani farete l’Europa nuova e l’aiuterete a superare la fatica che sta facendo, rendendola ancora un fattore di civiltà come è stata per tanti secoli».
Infine da Martina, una giovane di Ogulin, piccola e antica città in Croazia, la richiesta che spiazza la Comunità del Gratosoglio, pure messasi a disposizione con generosità grande, se si considera che all’appello, per ospitare i ragazzi, hanno risposto 50 tra singoli e famiglie, mentre molti sono stati i volontari. Anche il Municipio 5 della Città Metropolitana di Milano ha dato il patrocinio al progetto e parecchie Associazioni si sono unite in sinergia. Dice Martina: «Dateci una mano per costruire un oratorio come il Gratosoglio». Le parole del Cardinale: «Ecco, l’esempio di una realtà viva e buona diventa contagioso, perché contagioso non è solo il male», suggellano, come meglio non si potrebbe, la serata che prosegue con un momento condiviso e conviviale, a cui partecipano tutti: insieme per dire che si può fare.
Terminato il Campus don Giovanni e i collaboratori condivideranno a tutti la ricchezza di questi giorni.
Intanto ringraziamo tutti coloro che hanno reso possibile col loro servizio e la loro accoglienza questa intensa e felice esperienza.