Lo scorso 6 novembre, il teatro Angelicum di piazza Sant’Angelo a Milano ha ospitato l’incontro tra l’arcivescovo monsignor Mario Delpini e i rappresentanti delle comunità musulmane. «Come astri nella notte» era il titolo di quell’appuntamento, voluto dalla diocesi di Milano con il coinvolgimento del Consiglio delle Chiese Cristiane e del Forum delle Religioni, per ricordare i sette secoli trascorsi dall’incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano Malik al-Kāmil a Damietta, ripreso e per certi versi aggiornato dal Documento sulla fratellanza umana firmato, il 4 febbraio scorso, da papa Francesco e dal Grande Imam di Al Azhar, Ahmad Muhammad al-Tayyebdel.
Fra Paolo, dei Frati Minori che reggono la chiesa di Sant’Angelo, ha offerto un inquadramento storico, indicando ad esempio che non ci sono resoconti diretti di quanto il santo e il sultano si siano detti, ma ci sono pervenuti diciassette racconti risalenti alla stessa epoca; evidentemente, il fatto che l’incontro fosse avvenuto senza incidenti era fonte di stupore. Ha aggiunto che neanche san Francesco stesso ha mai parlato direttamente di quanto accaduto, ma possono essere rintracciati echi della sua esperienza nella Regola non bollata, ovvero la prima Regola francescana, e nelle lettere.
Il giovane Sinan Al Qudah, della comunità islamica di San Giuliano Milanese, ha ricordato come ancora oggi ci sono persone che tentano di far scontrare le due religioni coinvolte: l’incontro in corso, invece, andava nella direzione opposta. Rispetto a quanto invece insegna l’esperienza di Damietta, invece, ha visto tre principi in gioco: la fratellanza, perché negli ultimi anni comunità musulmane e cristiane hanno sofferto per attentati, ma hanno fatto fronte comune; l’identità, perché san Francesco e Malik al-Kāmil hanno mantenuto fermo l’attaccamento alla propria religione rispettando quella dell’altro; l’etica, perché i principi dell’una e dell’altra parte sono gli stessi e dovrebbero avere più spazio nella società comune.
I giovani coinvolti nella preparazione dell'incontro
leggono brani del Documento sulla fratellanza umana
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Ha quindi preso la parola monsignor Delpini, rammaricandosi che «C’è troppo buio nella Storia, c’è troppo dolore, troppo smarrimento». Lo ha riscontrato nei suoi recenti viaggi al Cairo con alcuni giovani sacerdoti della diocesi, in Siria e a Cipro con altri preti diocesani. Questo buio, secondo l’arcivescovo, è causato da almeno tre motivi.
Anzitutto, il buio dell’ignoranza, «del non sapere gli uni degli altri: cosa si pensa, come si prega, come si spera». Poi la generalizzazione, secondo cui gli islamici sono identificati con i terroristi e i cristiani con le potenze imperialiste: «Questo suscita nei cuori un cupo senso di risentimento e paura», ha chiarito Delpini. Infine, «leggere il passato come fonte inesauribile di rivendicazioni e risentimenti», che quindi «diventa un peso, un impedimento a guardare avanti».
Per vincere questo buio, più che una risposta, l’arcivescovo ha una certezza: «Quando, nel buio, si accende una luce, per quanto piccola, il buio è sconfitto, non è più impenetrabile». L’alternativa, quindi, è l’incontro personale, come rappresentato in uno dei filmati proposti tra un intervento e l’altro, realizzati dai giovani della parrocchia di Santo Stefano in Sesto San Giovanni, che, come accade da noi, stanno compiendo passi per incontrare e conoscere i coetanei musulmani.
Come il Papa e il Grande Imam, anche monsignor Delpini e Benaissa Bounegab, rappresentante della Casa della Cultura Musulmana di Milano, hanno sottoscritto il Documento sulla fratellanza umana; dopo di loro, anche i presenti sono stati invitati a farlo. Il Documento è ora conservato presso la sede del Centro Ambrosiano di Dialogo con le Religioni (CADR), in corso di Porta Ticinese 33. Concludendo il suo saluto, l’arcivescovo ha però raccomandato: «Siamo qui non solo a firmare una dichiarazione, ma a prendere l’impegno a essere persone che si guardano in faccia».
Nel rinfresco seguito al momento di preghiera, quest’ultimo strutturato come quello dello scorso Campus della Pace, abbiamo rivisto alcuni degli amici che ci avevano aiutato in quella circostanza: il responsabile del CADR, don Giampiero Alberti; la signora Nunnei, esponente del buddismo; Aziz, degli Scout Musulmani.
Se da una parte abbiamo trovato alleati preziosi, dall’altra sappiamo che ci sono zone di buio in coloro che, a causa delle persone di religione musulmana che ci abitano, disprezzano il nostro quartiere. Noi che viviamo qui cerchiamo ugualmente di far splendere la luce dell’incontro vero, la stessa che ad esempio troviamo, ogni anno con stupore crescente, nelle famiglie non cristiane che accolgono i visitatori parrocchiali in occasione del Natale.
Emilia Flocchini