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Nella casa di Betania, casa dell’amicizia, il gesto di Maria è il simbolo dell’eccedenza, della sproporzione, dello “spreco” di profumo prezioso. La presenza di Gesù suscita questo gesto. Egli ne è anche l’interprete a fronte della ragionevolezza contabile espressa da Giuda.
Maria offre nardo purissimo, senza dire parola.
Nella casa di Betania, casa dell’amicizia, il gesto di Maria è il simbolo dell’eccedenza, della sproporzione, dello “spreco” di profumo prezioso. La presenza di Gesù suscita questo gesto. Egli ne è anche l’interprete a fronte della ragionevolezza contabile espressa da Giuda.
Maria offre nardo purissimo, senza dire parola.
Giuda
ne calcola il valore indicandone una ragionevole destinazione.
La
presenza di Gesù, l’amico della casa di Betania, disorienta e suscita
l’autenticità del gesto di Maria – paradigma del discepolo (amato). Offre tutto
quello che è e che ha, e viene ospitata nel mistero di Gesù, che cammina verso
la morte.
Gesù
stesso poi si inginocchierà ai piedi dei discepoli, vi verserà dell’acqua, li
asciugherà.
Passaggio di amore e di dedizione, senza calcolo.
Il
fine dell’eccedenza e del profumo non è rinuncia, perdita, distacco, ma
passaggio dell’amore divino. Non vi sono garanzie, autodifese, volontarismo
etico, prestigio, che tutti insieme, ragionevolmente, possano disseminare il
profumo nardo purissimo nelle esistenze dei discepoli.
Gesù,
nella casa di Betania, interrompe le logiche umane, parlando del gesto unico,
profetico di Maria. “Permettile di poter serbare questo gesto per il giorno
della mia sepoltura”.
Non
ci sfugge il contrasto tra la raffinatezza dei gesti silenziosi di Maria verso
Gesù e la prospettiva di morte che lo attende. Se Gesù stesso non avesse
spiegato quel gesto-simbolo-profezia, il nostro disorientamento sarebbe al pari
di quello di Giuda. Domanda aperta la sua, contrasto tra il silenzio di Maria e
le parole di Giuda.
Quel
gesto rimarrà, perché narrato nell’evento del Vangelo, per ogni discepolo.
La libertà, la fragranza del profumo e la dolorosa coscienza di Gesù per la prossimità della sua morte costituiscono un “tempo sospeso” di contemplazione del dono della vita, del profumo che il dono di sé spande nella casa.
La libertà, la fragranza del profumo e la dolorosa coscienza di Gesù per la prossimità della sua morte costituiscono un “tempo sospeso” di contemplazione del dono della vita, del profumo che il dono di sé spande nella casa.
È
il tempo “altro” della contemplazione, che ci porterà, ancora con delle donne
che hanno mani cariche di aromi, al giardino dove era custodito il corpo di
Gesù, nel mattino di Pasqua.
L’unicità del gesto di Maria semina sconcerto e così le parole di Gesù che lo interpretano. I silenzi del Vangelo sulle ragioni di Maria per quel gesto, non chiedono le nostre parole. In quelle di Gesù ne accogliamo il significato, abitando sulla soglia di un ascolto inafferrabile, evocandolo alla radice come mistero divino, offerto alle nostre intelligenze e ai nostri cuori.
L’unicità del gesto di Maria semina sconcerto e così le parole di Gesù che lo interpretano. I silenzi del Vangelo sulle ragioni di Maria per quel gesto, non chiedono le nostre parole. In quelle di Gesù ne accogliamo il significato, abitando sulla soglia di un ascolto inafferrabile, evocandolo alla radice come mistero divino, offerto alle nostre intelligenze e ai nostri cuori.
Unicità
del gesto, il sempre dei poveri…
Una cosa, però, diventa
sempre più evidente per me,
e cioè che tu (Dio) non
puoi aiutare noi,
ma che siamo noi ad
aiutare te,
e in questo modo
aiutiamo noi stessi.
L’unica cosa che
possiamo salvare in questi tempi,
e anche l’unica che
veramente conti,
è un piccolo pezzo di
te in noi stessi, mio Dio.
E forse possiamo anche
contribuire
a disseppellirti dai
cuori devastati di altri uomini.
Sì, mio Dio, sembra che
tu non possa far molto
per modificare le
circostanze attuali
ma anch’esse fanno
parte di questa vita…
E quasi a ogni battito
del mio cuore,
cresce la mia certezza:
tu non puoi aiutarci,
ma tocca a noi aiutare
te,
difendere fino
all’ultimo la tua casa in noi…[1]
[1] E. HILLESUM, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1996, 200510, pp.
169-170.