Le arance di Lazzaro e
la bara-su-misura
di don Marco Pozza
In quella casa Cristo amava mostrarsi veramente uomo. Era come se,
per il tempo che vi sostava, lasciasse la sua divinità fuori dalla porta, quasi
fosse un qualcosa d’ingombrante in quello spazio amico. Quella casa è il numero
civico di tre fratelli: Marta, Maria, Lazzaro. Gente alla-buona, che non ha mai
chiesto il minimo favore all’Amico. Forse è proprio per questo che vi fa sempre
ritorno. Da quanto si conoscessero, il Vangelo non esprime parola. Il tutto che
dice vale molto di più: «Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro». La
qualità di modo a scapito della quantità di tempo: sarà sempre così dietro a
Cristo. Questo è tutto.
Un giorno capitò un fatto strano. Cristo era in trasferta in Transgiordania
e, improvvisamente, gli viene mandata un’ambasceria. Il contenuto è da
vertigini: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». L’oggetto del
discutere è Lazzaro, e dunque non uno qualsiasi: l’amico-personale di Cristo.
Ciò che t’immagini è che Cristo dia un’accelerata, firmi un improvviso cambio
di percorso e s’affretti prima possibile a Betania. Niente di tutto ciò,
esattamente l’opposto: «Quando sentì che era malato rimase due giorni nei
luoghi in cui si trovava». Siccome Lazzaro ha bisogno, l’Amico pare
fregarsene. E due giorni, per chi ha appuntamento con la morte, sono un lasso
di tempo enorme, decisivo, definitivo. Letale.
Succede sempre così, con Cristo: quando serve, fatalità, è sempre lontano.
Dista almeno il tempo che serve per lasciare che la morte faccia il suo corso.
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Le lacrime di chi ama,
una lente sul mondo
di padre Ermes Ronchi
Il racconto della risurrezione
di Lazzaro è la pagina dove Gesù appare più umano. Lo vediamo fremere,
piangere, commuoversi, gridare. Quando ama, l’uomo compie gesti divini; quando
ama, Dio lo fa con gesti molto umani. Una forza scorre sotto tutte le parole
del racconto: non è la vita che vince la morte. La morte, nella realtà, vince e
ingoia la vita. Invece ciò che vince la morte è l’amore. Tutti i presenti quel
giorno a Betania se ne rendono conto: guardate come lo amava, dicono ammirati.
E le sorelle coniano un nome bellissimo per Lazzaro: Colui–che–tu–ami.
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Commento
di don Pablo M. Edo,
dell’Opus Dei
La quinta domenica di
Quaresima ci presenta il racconto della risurrezione di Lazzaro, il settimo
segno o miracolo narrato da san Giovanni, l’ultimo e il più portentoso, quello
che rivela Gesù Signore della vita e della morte.
San Giovanni sottolinea
che Marta, Maria e Lazzaro erano amici di Gesù. Frutto di questa reciproca
familiarità, le sorelle inviano un messaggio al Maestro per informarlo che il
fratello si è ammalato. L’evangelista aggiunge che “Gesù amava Marta e sua
sorella e Lazzaro” (v. 5). E più avanti, con il versetto più breve della
Bibbia, afferma che Gesù si commosse e “scoppiò in pianto” (v. 35). Questo
affetto del Signore ha sempre destato lo stupore dei santi e il loro desiderio
di ricambiare. San Josemaría Escrivá de Balaguer si esprimeva così: “Gesù è tuo
amico. L’Amico. Con un cuore di carne, come il tuo. Con gli occhi, dallo
sguardo amabilissimo, che piansero per Lazzaro... E così come a Lazzaro, vuol
bene a te”.
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