Questa
espressione è un passaggio di un più ampio dialogo sul gruppo di WhatsApp dei
miei compagni di ordinazione, era il 1988. Forzatamente (o provvidenzialmente?)
“svestiti” dai ruoli di ciascuno, ritroviamo anche così qualche spazio di
fraterno e libero scambio, confronto e sostegno ma anche la possibilità di
confessare il nostro umano smarrimento e i turbamenti nella fede. I benpensanti
potrebbero stracciarsi le vesti al pensiero che un prete possa aver detto una cosa
del genere. Anche a me ha colpito ma perché ha espresso ciò che anch’io provo
dopo giorni e settimane come quelle che viviamo. Certo è cosa da elaborare ma
fotografa bene lo stordimento che segue letture e ascolti in cerca di risposte
o di spunti rassicuranti che non arrivano, e dopo invocazioni intense ma “inascoltate”.
Forse
anche le sorelle di Marta e Maria hanno vissuto qualcosa del genere nel tempo
della malattia e poi della morte di Lazzaro. Anche le loro attese sono rimaste
frustrate e le preghiere inascoltate… soprattutto quell’invito rivolto al
grande amico Gesù. Hanno sperimentato anche loro qualcosa del rompicapo del “distanziamento
sociale” … per giungere a scoprire che erano attorniate da molti vicini
“distanti” mentre erano apparentemente “distanti” da chi è risultato davvero
vicino. Hanno provato a darsi da fare per alleviare le sofferenze del fratello
e hanno pregato per lui inutilmente. Hanno vissuto l’angosciosa impotenza di
fronte alla morte e il pianto alla tomba.
Il
racconto della risurrezione di Lazzaro può risuonare alle orecchie del nostro
cuore quest’anno in modo tutto particolare. Possiamo a pieno titolo entrarci
anche noi col cuore carico di tutto il dolore di questi giorni.
È
bene “stare” in compagnia della Parola per poi scoprire che è lei a farti
compagnia. Una compagnia discreta e paziente, delicata e fedele, capace di
ascoltarci prima di parlare, disposta a farci da specchio perché impariamo a
riconoscere ciò che si muove dentro di noi, non anestetizzante e desiderosa di
corrispondere alle nostre attese ad ogni costo ma pronta a pagare ogni costo per
il nostro vero bene.
Così
come siamo, riconoscendo addirittura che siamo “stufi di leggere e anche di
pregare”, proviamo a lasciarci raggiungere dalla compagnia del Vangelo della
risurrezione di Lazzaro. E come il fermo immagine di un film sostiamo sulle
scene, sulle singole parole e sui gesti, sui sentimenti che esprimono. È un esercizio
prezioso da fare senza fretta e senza attese. Nessuno può farlo per te. Dopo
aver letto qualche spunto, anche da questi fogli, prova anche tu. Un po’ alla
volta la preoccupazione di trovare risposte e di capire, o il tumulto di
sentimenti ingombranti e paralizzanti, farà spazio al silenzio disarmato ma non
sconfitto di chi scopre che alla fine rimarranno «soltanto loro due: la misera
e la misericordia» (come s. Agostino commentava nel commento all’episodio del
perdono alla peccatrice): la misera condizione di ciascun uomo sulla terra e
Gesù-misericordia-di-Dio.
Forse
questi giorni portano con sé la grazia di uno sguardo nuovo su Dio, sul mondo,
sugli altri, su noi stessi: che è lo stesso sguardo che Gesù di Nazareth ci ha
rivelato vivendo in mezzo a noi. Ci è chiesta la disponibilità anzitutto di
gustarne la bellezza e la verità e poi di imparare a farlo nostro. E se la
strada fosse quella delle “lacrime”? Vi lascio ad alcuni spunti di papa
Francesco su questa intuizione.
Buona
domenica a tutti.
don Alfredo