Tanto
era sciolto e ironico il dialogo tra Gesù e la Samaritana domenica scorsa,
quanto dura e carica di minacce di morte è la discussione tra Gesù e alcuni
Giudei a riguardo di Abramo, che ci racconta il Vangelo di oggi. Con un
particolare interessante: questi Giudei, stando al vangelo di Giovanni, “avevano
creduto in lui”, cioè avevano cominciato a dare credito a Gesù, Gli aveva dato
inizialmente fiducia. Come illudendosi nei Suoi confronti.
Il contesto.
Non
sono giorni facili. Gesù Si sente spiato, controllato. Con la Sua predicazione
ha dato inizio a un movimento spirituale che suscita anche tante domande.
Giovanni annota che “quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì
anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto. I Giudei intanto lo cercavano
durante la festa e dicevano: ‘Dov’è quel tale?’. E la folla, sottovoce, faceva
un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: ‘È buono!’. Altri invece
dicevano: ‘No, inganna la gente!’. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per
paura dei Giudei” (7,10-13). E mentre i capi dei Giudei vogliono arrestarLo, “nessuno
riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora”
(7,30). E ci si potrebbe allora domandare: come è possibile che una religiosità
come quella ebraica abbia cercato di annientare Gesù per quello che aveva detto
e compiuto con amore appellandoSi allo stesso Dio? È possibile che serpeggino
certe malattie dentro le nostre religioni, respingendo chi dice di parlare nel
nome di un Dio buono e misericordioso? Risuonano pertanto dure le parole del
sommo sacerdote Caifa durante il Sinedrio che delibererà la morte di Gesù: “Voi
non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo
solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione” (Gv 11,49-50). Si
comprende pertanto il fatto raccontato al termine del Vangelo odierno, che
annota che quei Giudei allora “raccolsero delle pietre, per gettarle su di lui”,
mentre Gesù “si nascose e uscì dal tempio”. E noi sappiamo che fu solo una
morte rimandata.
Lo spaesamento di Abramo.
Questi
Giudei, che dialogano con Gesù senza ascoltarLo, sono segno di un immobilismo
mortale, mentre si nascondono dietro gli schemi della loro identità religiosa: “Noi
siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno”; “Sei tu
più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti.
Chi credi di essere?”. Rivendicano una appartenenza ad Abramo senza mettersi in
gioco, senza compromettere la loro coscienza e soprattutto una adesione
coerente alla spiritualità vivace e sincera di Abramo, che non era certo
l’emblema dell’immobilismo. Di uno stile di vita statico e rigido. Proprio
l’incontro con il Dio unico e creatore lo aveva infatti obbligato a mettersi in
gioco, in movimento, rompendo tutti gli schemi della sua appartenenza
religiosa. Come smosso radicalmente da una parola che si era sentito rivolgere
personalmente da Dio: “Vattene dalla tua terra / dalla tua parentela / e dalla
casa di tuo padre / verso la terra che io ti indicherò. / Farò di te una grande
nazione / e ti benedirò” (Gen 12,1-2). Perché Abramo passa da una vita in cui
avrebbe potuto tenersi ben stretto tutto ciò che aveva, a una vita che finisce
per riporre ogni certezza nella promessa di una discendenza umanamente
improbabile e che si sarebbe comunque realizzata in là nel tempo, oltre la sua
esistenza e oltre l’esistenza di Sara sua moglie? Abramo non ha mezze misure:
si mette in cammino e si fida. Come un innamorato ammaliato dal profumo della
donna amata. Con la libertà di andare verso una terra promessa, dove il sogno
si identifica con la realtà.
“Se rimanete nella mia parola”.
Gesù
irrita i Suoi interlocutori perché chiede loro di passare dalla rigidezza della
loro appartenenza religiosa a una relazione con Dio più liberante. Questo li
sconvolge: “se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli,
conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Come dicesse: dove vi
potrete realizzare? Dove ancora sperimentare l’ebbrezza della libertà?
Fidandovi di me. Come aveva detto alla Samaritana: fidati dell’acqua che io ti
posso dare! Lasciati prendere dal soffio dello Spirito! In cosa consiste la
nostra appartenenza religiosa? Una sorta di scaramanzia sul presente, con la
quale difenderci dal mondo e dai suoi virus o una fiducia che ogni giorno si
rinnova, rimettendoci continuamente in cammino, come Abramo? I Giudei che
discutevano con Gesù giocavano in difesa, rimanendo impermeabili al nuovo. Sino
a nascondersi in modo ossessivo dietro quel noi: “noi siamo discendenza di
Abramo (…). Noi non siamo nati da prostituzione (…). Noi abbiamo Dio per Padre”.
All’opposto di Abramo, uomo degli spazi aperti, dal cuore libero, dallo sguardo
puntato al cielo: “Poi Dio lo condusse fuori e gli disse: ‘Guarda il cielo e
conta le stelle se le puoi contare’. E soggiunse: ‘Tale sarà la tua
discendenza’” (Gn 15,5). Quelli barricati nel loro tempio e Abramo invece
fuori, a guardare le stelle! Diventando così benedizione per la terra intera: “In
te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gn 12,3). E così Abramo,
contemplando le stelle, giungerà a vedere Gesù: “Abramo, vostro padre, esultò
nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia”.
don Walter Magni
portavoce
dell’arcivescovo Delpini