18 giugno 2010

CATECHESI PER ADULTI Quarto incontro (Genesi 22,1-19)

ABRAMO I passi nella fede

Giovedì 20 maggio presso il Centro Parrocchiale si è tenuto il quarto incontro di Catechesi degli “over 50”. Riportiamo, qui di seguito, il testo della relazione introduttiva.

DIO MISE ALLA PROVA ABRAMO Genesi 22,1-19
Il sacrificio di Isacco
Dio chiede ad Abramo un gesto umanamente e moralmente inconcepibile, ma deve essere visto nel contesto dei costumi dell’epoca. Il sacrificio dei primogeniti alla divinità era praticato dai cananei. Anche gli israeliti erano convinti che i primogeniti appartenessero a JHWH e quindi dovessero essere offerti a lui. La legge mosaica però escludeva che essi fossero sacrificati, ma esigeva che, appartenendo a Dio, fossero riscattati mediante l’offerta di un animale. Il racconto tuttavia suscita numerosi problemi. Esso si divide in quattro parti: 1) la prova (vv. 1-5); 2) la preparazione del sacrificio (vv. 6-10); 3) l’intervento dell’angelo di JHWH e sostituzione di Isacco (vv. 11-14); 4) Secondo intervento dell’angelo di JHWH e conferma delle promesse (vv. 15-18).

La prova (vv. 1-5)
Ciò che JHWH sta per chiedere ad Abramo è talmente scioccante che il lettore deve essere avvertito subito che Dio non lo vuole veramente, ma intende semplicemente saggiare fino in fondo e in modo definitivo il cuore di Abramo. Perciò il vero tema del brano, è la fede del patriarca.
Dio pronunzia due volte il nome del patriarca: «Abramo, Abramo!». Ciò è indice di una grande solennità, si tratta di un momento decisivo, dal quale dipende il futuro di Abramo e del popolo che nascerà da lui .La risposta di Abramo è pronta: «Eccomi!».
A questo punto il lettore viene a sapere che cosa vuole Dio da lui."Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò" La richiesta è veramente esorbitante.
E’importante la designazione del luogo in cui dovrà attuarsi il sacrificio. Si tratta infatti del monte Mòria, che è indicato come il luogo in cui sorge il tempio di Gerusalemme.
Il lettore può immaginare i sentimenti contrastanti di Abramo; ma il narratore non si cura di descriverli. Ciò che conta è la sua obbedienza silenziosa, che non pone domande,. Naturalmente il lettore queste domande se le pone: come credere in un Dio che è capace di chiedere un sacrificio così assurdo e inconcepibile?
Abramo giunge in vista del luogo prestabilito solo il terzo giorno (è importante la simbologia nell’A.T.: eventi fondamentali sono collocati al terzo giorno, al punto che poi gli apostoli diranno che Gesù è risorto il terzo giorno, cioè giorno dell’intervento di Dio): non gli è mancato quindi il tempo per riflettere e approfondire la sua decisione. A questo punto Abramo ordina ai suoi servi di fermarsi spiegando che il figlio e lui avrebbero proseguito sino alla cima del monte per prostrarsi e poi sarebbero tornati. Parlando al plurale si potrebbe immaginare che Abramo pensi a un colpo di scena, o almeno lo speri. Ma sulle sue labbra queste parole non sono che una bugia tanto pietosa quanto disperata.

La preparazione del sacrificio (vv. 6-10)
Il racconto prosegue veloce: Abramo carica la legna per l’olocausto sulle spalle di Isacco (è l’immagine più forte dell’iconografia: Isacco porta la legna, è l’immagine del Cristo che porta la croce) Abramo prende in mano il fuoco e il coltello; poi tutt’e due proseguono insieme (v. 6). Il loro muto riflettere è rotto solo dalla domanda del fanciullo che chiede: «Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo non ha il coraggio di spiegare che cosa sta per capitare, ma si limita a rispondere: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!» (vv. 7-8). È chiaro che si tratta di una menzogna, dalla quale però traspare un’immensa fiducia nel Dio al quale Abramo sta per offrire in sacrifico il proprio figlio; proprio questa menzogna contiene una grande verità. I due proseguono fino al luogo prestabilito e lì Abramo costruisce l’altare, sistema la legna, lega il figlio Isacco e lo depone sull’altare, sopra la legna. Poi stende la mano e prende il coltello per immolare suo figlio (vv. 9-10).

L’intervento di JHWH(vv. 11-14)
Abramo ha appena finito i preparativi per il sacrificio e sta per immolare il figlio, quando l’angelo di Dio stesso, lo chiama dal cielo e gli dice di risparmiare il figlio. Lo stesso gesto diil proprio figlio, Dio non lo applicherà nei confronti di Gesù,come dice San Paolo ai romani,<>.
Alle parole di Dio Abramo alza gli occhi e vede un ariete impigliato con le corna in un cespuglio lo prende e lo offre in olocausto al posto del figlio.
La comparsa dell’ariete è chiaramente opera di Dio, ma il narratore la presenta come un fatto casuale, di cui Abramo approfitta senza esitare.
Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore vede», resta imprecisato che cosa Dio vede: Abramo, la sua fede oppure l’uomo in generale? oppure «prov-vede» a ciò che è bene per l’uomo.
Al termine del racconto Dio rinnoverà ad Abramo, con un solenne giuramento, le promesse che gli aveva fatto precedentemente, motivandole nuovamente col fatto che egli «non ha risparmiato» il suo unico figlio; lo benedirà e gli darà una discendenza numerosa come la sabbia del mare; per essa saranno benedette tutte le nazioni della terra. Così termina l’incontro con Dio sulla montagna.
Abramo torna dai suoi servi e insieme si mettono in cammino per Bersabea dove Abramo fissa la sua dimora.
Il narratore dimentica di menzionare che Isacco scende dal monte col padre, quasi a voler metter a fuoco solo la dimensione della fede di Abramo e dare la sensazione che davvero egli si è staccato dal figlio e quest’ultimo è pronto ormai ad affrontare la vita da solo.

Linee interpretative
Il racconto della richiesta di sacrificare il proprio figlio, sostituito all’ultimo momento con un ariete, aveva forse originariamente lo scopo di spiegare che Dio non vuole sacrifici umani, ma accetta al loro posto sacrifici animali. Dal punto di vista morale per il lettore antico non c’era dubbio che Dio potesse chiedere al patriarca tale gesto, anche se comportava per lui la perdita di un figlio; ma per Abramo ciò significava qualcosa di più.
La rinuncia a colui per mezzo del quale si sarebbero realizzate le promesse di Dio, e quindi in definitiva, data la sua tarda età, l’annullamento delle promesse stesse.
La sua adesione incondizionata è il segno di una fede che ha raggiunto ormai la sua pienezza, e quindi viene proposta come modello a tutto Israele.
Isacco ora è proprio suo figlio, adesso Abramo è diventato davvero padre, esattamente come Dio diventa Padre di Gesù nel momento della morte e nel momento della risurrezione si realizza : è nel mistero pasquale che Dio rivela pienamente la paternità e Gesù Cristo viene costituito Figlio di Dio in pienezza, in potenza.
Questa fede assoluta non lo porta a rinunziare a qualche cosa, ma gli permette di ottenere tutto.
E’ proprio il segno dell’atteggiamento evangelico: chi perde la propria vita la trova; è l’immagine della croce; è il Cristo che salva morendo,
Quando impariamo a vedere come vede Dio siamo in un’ottica di fede; la fede è strettamente legata al modo di vedere le cose; io sono una persona credente in base al mio modo di vedere la vita, di vedere me stesso, perché il mio modo di vedere diventa quello di Dio.