31 dicembre 2019

Calendario parrocchiale (5/1 - 12/1)


Dom 5.1 DOMENICA DOPO L’OTTAVA DI NATALE  
Ore 17 s. Messa dell’Epifania in MMC  
Ore 18 s. Messa dell’Epifania in SB

Lun. 6.1 EPIFANIA DEL SIGNORE
Messe con orario festivo
- nel pomeriggio “12ª Ciclobefana
Programma:
ore 14.30: ritrovo delle Befane con le loro scope di fronte alla Chiesa di SB oppure alla Panchina Culturale in MMC
ore 15.00: partenza dei due cortei delle Befane in bicicletta o a piedi
ore 15.15: arrivo dei due cortei alla R.S.A. "EMMAUS", visita con canti e danze e consegna agli ospiti dei doni preparati dalle comunità parrocchiali e a seguire, alle ore 16.30 in R.S.A. "BARONI".
ore 17.30: partenza delle Befane in bicicletta o a piedi arrivo all’oratorio MMC dove già è in corso una tombolata famigliare dalle ore 16.

Nei giorni seguenti l’Epifania l’oratorio di SB inizia ad aprire per l’accoglienza quotidiana. Giorni e orari saranno esposti al cancello.

Sab. 11.1 al termine della Messa delle 17 a MMC ingresso solenne della statuina del Santo Niño accompagnata dalla delegazione della Comunità Filippina (la statua sarà in chiesa MMC tutta la settimana e in vista della festa del 19 gennaio).

Dom. 12.1 BATTESIMO DI GESÙ  
ore 10,30 CIC 3 s. Messa e incontro in SB
ore 15-17 CIC 1 incontro in MMC

Concludendo i giorni del Natale…

Vi invito a leggere la riflessione di don Antonio Torresin - che ha celebrato la sua prima Messa nel 1985 a MMC - ora parroco di s. Vito al Giambellino. Ringrazio sr Stefania, che ora risiede presso la comunità di quella parrocchia, che mi ha fatto avere questo scritto.


DAVVERO “non c’è posto”?

Vorrei prendere le difese di una categoria che nei racconti della Nascita qualche volta mi sembra bistrattata. Si tratta degli albergatori, che fanno il loro onesto mestiere; ce ne saranno di buoni e disonesti, come in tutte le categorie, e non trovo giusto che ne escano sempre come quelli che hanno rifiutato il Bambino. Non erano certo alberghi a cinque stelle - forse in quelli “un posto” in qualche modo si sarebbe trovato - perché sicuramente il povero Giuseppe non poteva permettersi ripari di lusso. Forse erano semplici locande che davano in condivisione qualche spazio contiguo alla casa, o forse parte della stessa abitazione.
Come oggi i B&B, mi verrebbe da dire. E come oggi, a Milano, prova tu a trovare alloggio se capiti durante la fiera dell’artigianato o alla settimana della moda! Gli albergatori fanno semplicemente il loro mestiere e se non c’è posto, non c’è posto. Sarebbero da stimare invece: in fondo aprono la casa a persone che non conoscono, trattano con rispetto – “il cliente ha sempre ragione” – chi chiede alloggio, senza sindacare sui motivi, vivono come professione il carisma dell’ospitalità che nella Scrittura è tanto lodato. Ma ovviamente lo fanno con il senso del limite: le loro stamberghe sono quelle che sono e non c’è posto per tutti!
Certo, uno potrebbe dare il proprio giaciglio all’ospite dell’ultima ora, ma con questa logica fuori dalla porta ci rimani tu, e comunque poi ne arriveranno sempre altri a chiedere alloggio e a qualcuno si deve dire di no: se non c’è posto, non ce n’è! Ne prendo la difesa perché sento che quello che vivono gli albergatori è molto vicino ad un sentimento contrastante che sento molto vivo in me, e che forse ci riguarda tutti.
Vivo questo paradosso: da una parte mi sembra che nella mia vita manchi sempre qualcosa, ci sia un “posto vuoto”, una assenza che attende di essere colmata; un posto vuoto, un tassello mancante che mi ricorda l’incompiutezza della mia fragile vita, l’attesa di un compimento. Un posto vuoto che io non riesco e non posso colmare, ma solo custodire come fonte di desiderio, come attesa di qualcosa e qualcuno che porti a compimento la mia vita. Dall’altra vivo costantemente con l’impressione di essere in “overbooking”, troppo pieno, troppo preso, ingolfato di cose, attività, responsabilità. Magari è anche questa l’impressione che la gente ha di me, come di tanti preti ma anche di tanti uomini e donne: persone fin troppo indaffarate e per questo che sembrano sfuggenti e irraggiungibili. E mi dispiace.
Di fatto, però, quando arriva una nuova richiesta, quando qualcuno bussa alla porta, quando succedono cose impreviste, che magari potrebbero anche essere una bella opportunità, istintivamente resisto: non c’è posto, non ci sta più niente nella settimana, nella giornata, nella vita. “Non c’è posto” significa che non ho forze, non ce la faccio a tenere tutto insieme, non so a cosa rinunciare, cosa tralasciare.
Viviamo tutti una vita accelerata, ingolfata, troppo piena, che ci sembra di non avere più spazio per altro. Chi ne fa le spese, poi, sono le richieste più indifese, quelle di chi non alza la voce, degli appelli gentili ma meno forti di altri. Penso che sia quello che accade nella vita di tanti e di tutti: il lavoro ti occupa tutto lo spazio che riesce a rubare, poi ci sono la famiglia, i figli, la casa con le quotidiane urgenze… rimane che “non c’è posto” per altro. “Non c’è posto” per la preghiera, “non c’è posto” per un ascolto più attento delle persone care, “non c’è posto” per un amico che da tempo trascuro, “non c’è posto” per mettermi a servizio di chi ha bisogno…
Una giovane donna mi raccontava qualche giorno fa: “ho anche cambiato lavoro per avere più tempo, più spazio da regalare a mio marito, per poter finalmente pensare a un figlio… ma non ce la faccio, non c’è posto!” Viviamo una vita troppo complicata, condizionati da una città che è diventata inospitale: non c’è posto per lo straniero, non c’è posto per Dio, non c’è posto per la cura dell’interiorità, per la cura delle relazioni.
Ma la buona notizia è che il Signore viene anche se a noi sembra di non avere posto per lui! Viene in un cantuccio dimenticato della nostra vita, viene quando più non l’aspetto. E quando arriva, il posto lo trova lui, lo crea letteralmente, lo rende reale e sufficiente. Anche perché il Signore - come tutte le cose preziose e vere della vita - non ha bisogno di chissà quale spazio: gli basta un angolo, vive bene ai margini e da lì è capace di irradiare tutta la vita. La sua presenza regala una nuova luce, e ti accorgi che non era vero che “non c’è posto”.
Ti accorgi di quante cose inutili occupano spazio prezioso nella tua vita, di quante preoccupazioni e paure ti tolgono tempo ed energie. Come succede con l’arrivo di un figlio (e poi magari di un secondo dopo un primo): mentre ti costringe a rivedere le priorità, ti dona anche energie che non pensavi di avere, ti fa scoprire che lo spazio e il tempo ai quali rinunci ti rendono più ricco, ti allargano il cuore e ti allungano la vita. C’è posto anche per pregare, per ascoltare chi ti è vicino e per accogliere chi ti sembra lontano. Quando il Signore viene, c’è posto per tutti.

Angelus di domenica 29 dicembre


Il Papa all’Angelus di domenica 29 dicembre, celebrando per il rito romano la festa della Santa famiglia di Nazareth, ha rivolto a tutti queste parole.
Teniamole nel cuore...

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
E davvero, oggi è una bella giornata … Celebriamo oggi la festa della Santa famiglia di Nazareth. Il termine “santa” inserisce questa famiglia nell’ambito della santità che è dono di Dio ma, al tempo stesso, è libera e responsabile adesione al progetto di Dio. Così è stato per la famiglia di Nazareth: essa fu totalmente disponibile alla volontà di Dio.
Come non rimanere stupiti, per esempio, dalla docilità di Maria all’azione dello Spirito Santo che le chiede di diventare la madre del Messia? Perché Maria, come ogni giovane donna del suo tempo, stava per concretizzare il suo progetto di vita, cioè sposarsi con Giuseppe. Ma quando si rende conto che Dio la chiama ad una missione particolare, non esita a proclamarsi sua “serva” (cfr Lc 1,38). Di Lei Gesù esalterà la grandezza non tanto per il suo ruolo di madre, ma per la sua obbedienza a Dio. Gesù disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28), come Maria. E quando non comprende pienamente gli eventi che la coinvolgono, Maria nel silenzio medita, riflette e adora l’iniziativa divina. La sua presenza ai piedi della croce consacra questa totale disponibilità.
Poi, per quanto riguarda Giuseppe, il Vangelo non ci riporta una sola parola: egli non parla, ma agisce obbedendo. È l’uomo del silenzio, l’uomo dell’obbedienza. L’odierna pagina evangelica (cfr Mt 2,13-15.19-23) richiama per tre volte questa obbedienza del giusto Giuseppe, riferita alla fuga in Egitto e al ritorno nella terra d’Israele. Sotto la guida di Dio, rappresentato dall’Angelo, Giuseppe allontana la sua famiglia dalle minacce di Erode, e la salva. La Santa Famiglia solidarizza così con tutte le famiglie del mondo obbligate all’esilio, solidarizza con tutti coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra a causa della repressione, della violenza, della guerra.
Infine, la terza persona della Sacra Famiglia, Gesù. Egli è la volontà del Padre: in Lui, dice San Paolo, non c’è stato “sì” e “no”, ma soltanto “sì” (cfr 2Cor 1,19). E ciò si è manifestato in tanti momenti della sua vita terrena. Per esempio, l’episodio al tempio quando, ai genitori che lo cercavano angosciati, rispose: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49); il suo continuo ripetere: «Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato» (Gv 4,34); la sua preghiera nell’orto degli ulivi: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà» (Mt 26,42). Tutti questi eventi sono la perfetta realizzazione delle stesse parole del Cristo che dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta […]. Allora ho detto: “Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10,5-7; Sal 40,7-9).
Maria, Giuseppe, Gesù: la Sacra Famiglia di Nazareth che rappresenta una risposta corale alla volontà del Padre: i tre componenti di questa famiglia si aiutano reciprocamente a scoprire il progetto di Dio. Loro pregavano, lavoravano, comunicavano. E io mi domando: tu, nella tua famiglia, sai comunicare o sei come quei ragazzi a tavola, ognuno con il telefonino, mentre stanno chattando? In quella tavola sembra vi sia un silenzio come se fossero a Messa … Ma non comunicano fra di loro. Dobbiamo riprendere il dialogo in famiglia: padri, genitori, figli, nonni e fratelli devono comunicare tra loro … Questo è un compito da fare oggi, proprio nella giornata della Sacra Famiglia. La Santa Famiglia possa essere modello delle nostre famiglie, affinché genitori e figli si sostengano a vicenda nell’adesione al Vangelo, fondamento della santità della famiglia.
Affidiamo a Maria “Regina della famiglia”, tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle provate dalla sofferenza o dal disagio, e invochiamo su di esse la sua materna protezione.

17 dicembre 2019

Calendario parrocchiale (15/12/2019 - 1/1/2020)

Dom 15.12 V DOMENICA DI AVVENTO
- ore 10.30 cic 4 Messa e incontro a SB
- ore 15.00 cic 2 oratorio MMC
- ore 12.30 gruppo famiglie adottanti  
- ore 18.00 Messa SB animata dai gruppi di PG
- ore 19.00 chiesa SB confessioni per ADO e giovani - a seguire cena condivisa

Mer. 18.12 ore 11 3ª età di SB in chiesa Confessioni

Dom. 22.12 DIVINA MATERNITÀ DI MARIA
Alle Messe delle 10,30 e delle 11 benedizione dei Gesù bambini dei presepi.

Lun. 23.12 CELEBRIAMO IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE IN SB E MMC:
ore 9,30 - 12 e 15,30 - 19

Mar. 24.12 CELEBRIAMO IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE IN SB E MMC:
ore 9,30 - 12 e dalle 15,30 alla Messa vespertina

CELEBRAZIONE DEL NATALE DI GESÙ
ore 17 s. Messa MMC
ore 18 s. Messa SB
Ore 23,40 preparazione alla Messa della mezzanotte con musica e testi di meditazione
Ore 24 s. Messa della mezzanotte SB

Merc. 25 dic. ss. Messe di Natale con orario festivo

Giov. 26 dic. s.Stefano diacono e primo martire
ore 10,30 s.Messa SB ore 17 s.Messa MMC


Domenica 29 dicembre
“nell’ottava del Natale”

Mar. 31.12 ore 17 a MMC e 18 a SB
S. Messa con TE DEUM di ringraziamento
per il dono dell’anno 2019 che termina.


Mercoledì 1° gennaio 2020
Ottava del Natale e circoncisione del Signore

A tutti i più sinceri auguri di un Natale di pace nel Signore Gesù!

LIII Giornata Mondiale della Pace - Messaggio del Santo Padre

1. La pace, cammino di speranza di fronte agli ostacoli e alle prove
La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità. Sperare nella pace è un atteggiamento umano che contiene una tensione esistenziale, per cui anche un presente talvolta faticoso «può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino».[1] In questo modo, la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili.
La nostra comunità umana porta, nella memoria e nella carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono succeduti, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. Anche intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene dello sfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e violenze. Ancora oggi, a tanti uomini e donne, a bambini e anziani, sono negate la dignità, l’integrità fisica, la libertà, compresa quella religiosa, la solidarietà comunitaria, la speranza nel futuro. Tante vittime innocenti si trovano a portare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusione, del lutto e dell’ingiustizia, se non addirittura i traumi derivanti dall’accanimento sistematico contro il loro popolo e i loro cari.
Le terribili prove dei conflitti civili e di quelli internazionali, aggravate spesso da violenze prive di ogni pietà, segnano a lungo il corpo e l’anima dell’umanità. Ogni guerra, in realtà, si rivela un fratricidio che distrugge lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana.
La guerra, lo sappiamo, comincia spesso con l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fomenta il desiderio di possesso e la volontà di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo. La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo.
Risulta paradossale, come ho avuto modo di notare durante il recente viaggio in Giappone, che «il nostro mondo vive la dicotomia perversa di voler difendere e garantire la stabilità e la pace sulla base di una falsa sicurezza supportata da una mentalità di paura e sfiducia, che finisce per avvelenare le relazioni tra i popoli e impedire ogni possibile dialogo. La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di oggi e di domani».[2]
Ogni situazione di minaccia alimenta la sfiducia e il ripiegamento sulla propria condizione. Sfiducia e paura aumentano la fragilità dei rapporti e il rischio di violenza, in un circolo vizioso che non potrà mai condurre a una relazione di pace. In questo senso, anche la dissuasione nucleare non può che creare una sicurezza illusoria.
Perciò, non possiamo pretendere di mantenere la stabilità nel mondo attraverso la paura dell’annientamento, in un equilibrio quanto mai instabile, sospeso sull’orlo del baratro nucleare e chiuso all’interno dei muri dell’indifferenza, dove si prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi dello scarto dell’uomo e del creato, invece di custodirci gli uni gli altri.[3] Come, allora, costruire un cammino di pace e di riconoscimento reciproco? Come rompere la logica morbosa della minaccia e della paura? Come spezzare la dinamica di diffidenza attualmente prevalente?
Dobbiamo perseguire una reale fratellanza, basata sulla comune origine da Dio ed esercitata nel dialogo e nella fiducia reciproca. Il desiderio di pace è profondamente inscritto nel cuore dell’uomo e non dobbiamo rassegnarci a nulla che sia meno di questo.
2. La pace, cammino di ascolto basato sulla memoria, sulla solidarietà e sulla fraternità
Gli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, sono tra quelli che oggi mantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde nell’agosto del 1945 e le sofferenze indicibili che ne sono seguite fino ad oggi. La loro testimonianza risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione: «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno».[4]
Come loro molti, in ogni parte del mondo, offrono alle future generazioni il servizio imprescindibile della memoria, che va custodita non solo per non commettere di nuovo gli stessi errori o perché non vengano riproposti gli schemi illusori del passato, ma anche perché essa, frutto dell’esperienza, costituisca la radice e suggerisca la traccia per le presenti e le future scelte di pace.
Ancor più, la memoria è l’orizzonte della speranza: molte volte nel buio delle guerre e dei conflitti, il ricordo anche di un piccolo gesto di solidarietà ricevuta può ispirare scelte coraggiose e persino eroiche, può rimettere in moto nuove energie e riaccendere nuova speranza nei singoli e nelle comunità.
Aprire e tracciare un cammino di pace è una sfida, tanto più complessa in quanto gli interessi in gioco, nei rapporti tra persone, comunità e nazioni, sono molteplici e contradditori. Occorre, innanzitutto, fare appello alla coscienza morale e alla volontà personale e politica. La pace, in effetti, si attinge nel profondo del cuore umano e la volontà politica va sempre rinvigorita, per aprire nuovi processi che riconcilino e uniscano persone e comunità.
Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giungere veramente alla pace se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse. La pace è «un edificio da costruirsi continuamente»,[5] un cammino che facciamo insieme cercando sempre il bene comune e impegnandoci a mantenere la parola data e a rispettare il diritto. Nell’ascolto reciproco possono crescere anche la conoscenza e la stima dell’altro, fino al punto di riconoscere nel nemico il volto di un fratello.
Il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta. In uno Stato di diritto, la democrazia può essere un paradigma significativo di questo processo, se è basata sulla giustizia e sull’impegno a salvaguardare i diritti di ciascuno, specie se debole o emarginato, nella continua ricerca della verità.[6] Si tratta di una costruzione sociale e di un’elaborazione in divenire, in cui ciascuno porta responsabilmente il proprio contributo, a tutti i livelli della collettività locale, nazionale e mondiale.
Come sottolineava San Paolo VI, «la duplice aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione è diretta a promuovere un tipo di società democratica […]. Ciò sottintende l’importanza dell’educazione alla vita associata, dove, oltre l’informazione sui diritti di ciascuno, sia messo in luce il loro necessario correlativo: il riconoscimento dei doveri nei confronti degli altri. Il significato e la pratica del dovere sono condizionati dal dominio di sé, come pure l’accettazione delle responsabilità e dei limiti posti all’esercizio della libertà dell’individuo o del gruppo».[7]
Al contrario, la frattura tra i membri di una società, l’aumento delle disuguaglianze sociali e il rifiuto di usare gli strumenti per uno sviluppo umano integrale mettono in pericolo il perseguimento del bene comune. Invece il lavoro paziente basato sulla forza della parola e della verità può risvegliare nelle persone la capacità di compassione e di solidarietà creativa.
Nella nostra esperienza cristiana, noi facciamo costantemente memoria di Cristo, che ha donato la sua vita per la nostra riconciliazione (cfr Rm 5,6-11). La Chiesa partecipa pienamente alla ricerca di un ordine giusto, continuando a servire il bene comune e a nutrire la speranza della pace, attraverso la trasmissione dei valori cristiani, l’insegnamento morale e le opere sociali e di educazione.
3. La pace, cammino di riconciliazione nella comunione fraterna
La Bibbia, in modo particolare mediante la parola dei profeti, richiama le coscienze e i popoli all’alleanza di Dio con l’umanità. Si tratta di abbandonare il desiderio di dominare gli altri e imparare a guardarci a vicenda come persone, come figli di Dio, come fratelli. L’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va considerato per la promessa che porta in sé. Solo scegliendo la via del rispetto si potrà rompere la spirale della vendetta e intraprendere il cammino della speranza.
Ci guida il brano del Vangelo che riporta il seguente colloquio tra Pietro e Gesù: «“Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”» (Mt 18,21-22). Questo cammino di riconciliazione ci chiama a trovare nel profondo del nostro cuore la forza del perdono e la capacità di riconoscerci come fratelli e sorelle. Imparare a vivere nel perdono accresce la nostra capacità di diventare donne e uomini di pace.
Quello che è vero della pace in ambito sociale, è vero anche in quello politico ed economico, poiché la questione della pace permea tutte le dimensioni della vita comunitaria: non vi sarà mai vera pace se non saremo capaci di costruire un più giusto sistema economico. Come scriveva Benedetto XVI, dieci anni fa, nella Lettera Enciclica Caritas in veritate: «La vittoria del sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e comunione» (n. 39).
4. La pace, cammino di conversione ecologica
«Se una cattiva comprensione dei nostri principi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire».[8]
Di fronte alle conseguenze della nostra ostilità verso gli altri, del mancato rispetto della casa comune e dello sfruttamento abusivo delle risorse naturali – viste come strumenti utili unicamente per il profitto di oggi, senza rispetto per le comunità locali, per il bene comune e per la natura – abbiamo bisogno di una conversione ecologica.
Il recente Sinodo sull’Amazzonia ci spinge a rivolgere, in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica tra le comunità e la terra, tra il presente e la memoria, tra le esperienze e le speranze.
Questo cammino di riconciliazione è anche ascolto e contemplazione del mondo che ci è stato donato da Dio affinché ne facessimo la nostra casa comune. Infatti, le risorse naturali, le numerose forme di vita e la Terra stessa ci sono affidate per essere “coltivate e custodite” (cfr Gen 2,15) anche per le generazioni future, con la partecipazione responsabile e operosa di ognuno. Inoltre, abbiamo bisogno di un cambiamento nelle convinzioni e nello sguardo, che ci apra maggiormente all’incontro con l’altro e all’accoglienza del dono del creato, che riflette la bellezza e la sapienza del suo Artefice.
Da qui scaturiscono, in particolare, motivazioni profonde e un nuovo modo di abitare la casa comune, di essere presenti gli uni agli altri con le proprie diversità, di celebrare e rispettare la vita ricevuta e condivisa, di preoccuparci di condizioni e modelli di società che favoriscano la fioritura e la permanenza della vita nel futuro, di sviluppare il bene comune dell’intera famiglia umana.
La conversione ecologica alla quale facciamo appello ci conduce quindi a un nuovo sguardo sulla vita, considerando la generosità del Creatore che ci ha donato la Terra e che ci richiama alla gioiosa sobrietà della condivisione. Tale conversione va intesa in maniera integrale, come una trasformazione delle relazioni che intratteniamo con le nostre sorelle e i nostri fratelli, con gli altri esseri viventi, con il creato nella sua ricchissima varietà, con il Creatore che è origine di ogni vita. Per il cristiano, essa richiede di «lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo».[9]
5. Si ottiene tanto quanto si spera[10]
Il cammino della riconciliazione richiede pazienza e fiducia. Non si ottiene la pace se non la si spera.
Si tratta prima di tutto di credere nella possibilità della pace, di credere che l’altro ha il nostro stesso bisogno di pace. In questo, ci può ispirare l’amore di Dio per ciascuno di noi, amore liberante, illimitato, gratuito, instancabile.
La paura è spesso fonte di conflitto. È importante, quindi, andare oltre i nostri timori umani, riconoscendoci figli bisognosi, davanti a Colui che ci ama e ci attende, come il Padre del figlio prodigo (cfr Lc 15,11-24). La cultura dell’incontro tra fratelli e sorelle rompe con la cultura della minaccia. Rende ogni incontro una possibilità e un dono dell’amore generoso di Dio. Ci guida ad oltrepassare i limiti dei nostri orizzonti ristretti, per puntare sempre a vivere la fraternità universale, come figli dell’unico Padre celeste.
Per i discepoli di Cristo, questo cammino è sostenuto anche dal sacramento della Riconciliazione, donato dal Signore per la remissione dei peccati dei battezzati. Questo sacramento della Chiesa, che rinnova le persone e le comunità, chiama a tenere lo sguardo rivolto a Gesù, che ha riconciliato «tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,20); e chiede di deporre ogni violenza nei pensieri, nelle parole e nelle opere, sia verso il prossimo sia verso il creato.
La grazia di Dio Padre si dà come amore senza condizioni. Ricevuto il suo perdono, in Cristo, possiamo metterci in cammino per offrirlo agli uomini e alle donne del nostro tempo. Giorno dopo giorno, lo Spirito Santo ci suggerisce atteggiamenti e parole affinché diventiamo artigiani di giustizia e di pace.
Che il Dio della pace ci benedica e venga in nostro aiuto.
Che Maria, Madre del Principe della pace e Madre di tutti i popoli della terra, ci accompagni e ci sostenga nel cammino di riconciliazione, passo dopo passo.
E che ogni persona, venendo in questo mondo, possa conoscere un’esistenza di pace e sviluppare pienamente la promessa d’amore e di vita che porta in sé.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2019
FRANCESCO
___________________
[1] Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi (30 novembre 2007), 1.
[2]
Discorso sulle armi nucleari, Nagasaki, Parco “Atomic Bomb Hypocenter”, 24 novembre 2019.
[3]
Cfr Omelia a Lampedusa, 8 luglio 2013.
[4]
Discorso sulla Pace, Hiroshima, Memoriale della Pace, 24 novembre 2019.
[5]
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 78.
[6]
Cfr Benedetto XVI, Discorso ai dirigenti delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, 27 gennaio 2006.
[7]
Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 24.
[8]
Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 200.
[9]
Ibid., 217.
[10]
Cfr S. Giovanni della Croce, Notte Oscura, II, 21, 8.

05 dicembre 2019

EMERGENZA TERREMOTO ALBANIA


EMERGENZA TERREMOTO ALBANIA

E‘ stato organizzata una raccolta generi NON alimentari di prima necessità da MISERICORDIA MILANO: tutto il materiale che stiamo recuperando, e che alcuni nostri confratelli porteranno in Albania, verrà ritirato

domenica 8/12 dalle 14 alle 18 presso la sede di
MISERICORDIA MILANO in V. Baroni 48 sede ASL

Questo e solo questo, quello che occorre:

·    Bagno schiuma
·    Dentifrici e Spazzolini
·    Shampoo
·    Saponette
·    Salviettine umidificate
·    Carta igienica
·    rotoli carta
·    pannoloni per disabili e anziani
·    mutande uomo- donna bambini
·    reggiseni
·    pannolini bambini
·    assorbenti
·    calze uomo – donne e bambini
·    scarpe uomo
·    piatti – bicchieri –posate (in plastica)
·    amuchina
·    coperte
·    stufe
·    guanti – cappelli – scaldamani
·    ciabatte in gomma
·    kit pronto soccorso domestico
·    lampadine
·    giocattoli, colori e fogli da disegno
·    sacchetti rifiuti
·    guanti lattice – nitrile
·    crema per le mani
·    detersivi
·    mascherine
·    schiuma e rasoi da barba


Grazie e che Dio ve ne renda merito!



30 novembre 2019

Le confidenze dell’angelo Gabriele

Carissimi, l’angelo birichino che sta accompagnando il nostro Avvento, nella festa dell’Immacolata si presenta a noi attraverso lo straordinario incontro con Maria.
Ci lasciamo guidare dalle parole del nostro Arcivescovo Mario [i grassetti sono nostri, ndr] che nell’omelia dell’8 dicembre dello scorso anno ci ha parlato delle confidenze che ha ricevuto dall’angelo Gabriele.
Buona meditazione.
don Alfredo

Non dovete credere che sia un mestiere facile quello dell’angelo inviato da Dio nella città di Galilea chiamata Nazaret. E in genere non dovete pensare che sia un mestiere facile quello di un angelo inviato in qualsiasi città. Forse neppure a Milano è tanto facile essere mandati per portare un annuncio da parte di Dio.
Ad ogni modo non è stato facile la mia missione di angelo inviato a Nazaret. Provate voi ad avere una gioia che trabocca dentro, una gioia che fa ardere il cuore, una gioia che fa danzare, esultare, una gioia che mette voglia di invitare tutti a fare festa, ad abbracciarsi in un entusiasmo contagioso. Provate voi a gridare in mezzo alla città: Rallegrati! Esulta! Gioisci! Provate!
La gente indaffarata, tutta presa dagli impegni, dalle scadenze, dagli affari alza appena la testa e la scuote e disapprova: in città arriva di tutto! Anche i matti li lasciano in giro. Non perdere tempo ragazzo! Pensa a lavorare: gli affari sono affari e il tempo è denaro. Non ti vergogni di invitare alla festa nel paese indaffarato? Il veleno del serpente antico ancora avvelena la vita con l’avidità e la frenesia.
La gente invidiosa, la gente presuntuosa, i mercanti di allegria a prezzi scontati ti minacciano con una evidente ostilità: vai altrove a offrire la tua gioia! Non vedi che questo è il nostro mercato? Qui prosperano i nostri affari, perché noi vendiamo a buon prezzo polveri che fanno sognare, filtri magici che rendono euforici, giochi che inculcano struggenti frenesie di ricchezze improbabili. Non hai paura di offrire la gioia nella piazza del paese dell’euforia artificiale?
Provate ad annunciare a questa gente: rallegratevi! Il veleno del serpente antico ancora avvelena la vita con le passioni e l’orgoglio suscettibile. E poi ci sono le tristezze struggenti, le ferite dolorose della vita, le speranze deluse, gli amori sognati che non si sono mai compiuti, i figli attesi che non sono mai arrivati o che non hanno mai visto la luce, le solitudini desolate di chi ha dato tanto a tanti e si rende conto che al bisogno non riceve niente da nessuno. Di fronte alle pene inconsolabili, l’annuncio ti muore sulle labbra: come è possibile proclamare: “Rallegrati!”? Il veleno del serpente antico ancora avvelena le tristezze struggenti insinuandovi il sospetto sull’insensibilità di Dio e la sua assenza.
Non è facile la missione dell’angelo della gioia!
Ma poi sono entrato nella casa di Maria
la più santa e la più libera di tutte le creature. In quella casa, in quella donna fidanzata a un uomo della casa di Davide di nome Giuseppe, in quel dialogo al quale era sospesa la salvezza del mondo, ho visto le vie misteriose che percorre l’annuncio della gioia per diventare un “magnificat”.
L’annuncio della gioia irrompe come uno spavento: Maria rimase molto turbata. L’annuncio alla gioia, che è poi la mia missione di angelo del Signore, non entra nella vita di una persona come un’allegra eccitazione, come una piacevole distrazione dai fastidi della vita. È invece una proposta di vita. È una chiamata, non un sentimento; è un fuoco che arde dentro, non un lasciarsi andare disimpegnato. È l’apertura di un orizzonte impensato, non l’esaudimento di un desiderio. Perciò l’annuncio della gioia che viene da Dio irrompe nella casa di Nazaret come uno spavento.
L’annuncio della gioia consegna un nome nuovo: piena di grazia. Il nome nuovo è come una rinascita, il dono di una vita nuova, la rivelazione dell’identità più vera. “Chi sono io?” si chiedeva Maria. Ed era abituata a rispondersi: io sono Maria, una ragazza di Nazaret, devota e buona, e sono promessa sposa a un uomo della casa di Davide, a Giuseppe, il falegname. E io, angelo mandato da Dio, l’ho chiamata con il nome che svela il mistero che è in lei, la sua santità, la grazia che l’ha ricolmata della vita di Dio. All’annuncio della gioia di Dio viene alla luce la verità profonda della persona amata dal Signore, si aprono nuove strade, si accolgono i misteri santi della vita divina, indicibili, incomunicabili, eppure i più veri e i più necessari perché si possa accogliere l’annuncio della gioia.
L’annuncio della gioia rinnova una promessa: il Signore è con te! L’impresa di riconoscere la propria vocazione alla pienezza della gioia, l’impresa di far risplendere la verità profonda del cuore è impresa troppo ardua: non basta la buona volontà che si impegna, non basta l’intelligenza che comprende, non bastano le condizioni propizie. È necessario dimorare nella comunione, poter contare sull’alleanza con il Dio fedele.
Non è una missione facile quella di essere l’angelo che annuncia la gioia dei tempi messianici, ma mi riempie di fierezza e di gioia constatare che la potenza di Dio schiaccia la testa al serpente antico e guarisce dal veleno uomini e donne che come Maria accolgono il messaggio e così gli indaffarati, malati di avidità e frenesia, trovano pace e si aprono alla gioia; e i presuntuosi e gli idolatri, malati di passione e di orgoglio suscettibile, sono liberati e imparano l’umiltà e la purezza di cuore; e così gli afflitti, malati di sospetto sulla bontà di Dio, sono riconciliati e imparano a irradiare bontà oltre ogni confine desiderato.
Così mi ha confidato l’angelo Gabriele che è stato inviato in una città della Galilea chiamata Nazaret a una vergine di nome Maria, promessa sposa a un uomo della casa di Davide chiamato Giuseppe.

Arcabas, l’artista che ha dipinto l’annunciazione qui sopra, inserisce tra Maria e l’angelo una colomba dorata che si avvicina a Maria spingendo davanti a sé una piccola croce anch’essa d’oro. Un oro che si diffonde sull’abito, sul volto e sulle mani di Maria, quasi trasfigurandola. L’oro della divinità, della gioia, della gloria però nella forma del dolore e della morte. L’oro della vittoria, anche su quella forma e su quella morte. Perché come scriveva Alda Merini:
Maria era una donna che aveva in animo la poesia: per lei un angelo poteva essere una visita di tutti i giorni. Anche il pensiero di Maria era angelico, e non esitò a dire il suo sì, a manifestare la sua obbedienza. L’obbedienza non teme la morte né il patimento, chi obbedisce percorre moltissime strade e non è mai solo.