26 aprile 2020

«Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?» (At 19, 2)


Così Paolo ad Efeso, ma queste parole oggi risonano per noi, per ciascuno di noi e per “noi” radunati insieme come discepoli di Gesù. Sono parole affilate come una spada che incide nei punti di giuntura delle articolazioni che, bloccate dalle conseguenze nefaste del male, sono incapaci di bene, di fare il bene. Così sono parole affilate per guarire e liberare. Ascoltiamole col desiderio di essere guariti, liberati anche noi.
Le sento anzitutto come parole di richiamo: “Ma come? Non avete ricevuto lo Spirito Santo che è il primo dono del Risorto? Perchè vivete ancora nella paura paralizzante della morte e vi chiudete in voi stessi, credendo di potervi salvare da soli? Perchè anziché imparare l’arte della condivisione fraterna spendete energie per garantirvi presunte certezze o evasioni egoisticamente cullate? Perchè non comprendete che questo tempo di forzata inattività è occasione per lasciarci fare da Dio?
Le sento poi come parole di incoraggiamento: “Avete ricevuto lo Spirito Santo? Dunque coraggio! Non siete soli: insieme a Lui portate con pazienza e fiducia il peso e l’angoscia di questo momento e moltiplicate i segni della tenera cura di Dio ai fratelli e alle sorelle che vi ha messo accanto. Non dimenticate che per questo Gesù vi ha scelto e mandato promettendo sono con voi, fino alla fine del mondo”.
Infine le sento come parole di  sfida: “Avete ricevuto lo Spirito Santo? Allora più che inseguire le notizie e le soluzioni del mondo, esercitatevi a leggere l’azione dello Spirito nel tempo che viviamo. Sarà lui a suggerire come aprirci alle novità che Dio ha preparato per il futuro di tutti i suoi figli nel mondo, nella Chiesa, nella nostra città e nel quartiere, nella comunità cristiana e nelle nostre famiglie. Lo Spirito Santo ci aiuterà ad intravvedere strade nuove per non disperdere il patrimonio prezioso che si è moltiplicato enormemente in questi giorni apparentemente vuoti e che impoveriscono i bilanci economici delle famiglie e degli stati.    
Forse in questa luce possiamo provare anche noi a rispondere all’invito della diocesi ad offrire spunti per la cosiddetta “fase 2”: non certo per chiedere di tornare a fare tutto quello che facevamo prima, come lo facevamo prima, oppure per lamentarci dei bilanci economici in rosso.
Chiediamoci: a quale CURA siamo stati richiamati da quanto stiamo vivendo?  Penso alla cura responsabile della salute personale e dei propri cari ma anche alla cura delle relazioni a cominciare da quella con Dio nella preghiera e nella celebrazione dei sacramenti, non trascurando le relazioni coi famigliari, gli amici, i colleghi, i vicini di scala e in particolare i bambini, gli anziani, i malati, i poveri e persino i defunti … la cura della gestione del tempo e delle risorse a nostra disposizione perché non siano sprecati o dedicato a cose che non hanno valore. Insomma: cosa deve cambiare da questa lezione di vita riletta alla luce del Vangelo?

Don Alfredo

* * *

La diocesi di Milano invita le comunità cristiane e i fedeli ad avanzare idee e buone prassi su diversi ambiti ecclesiali: dal riavvio delle celebrazioni con il popolo alla riapertura degli oratori, fino all’azione caritativa nelle sue molteplici espressioni.
Le proposte potranno essere presentate all’indirizzo indicato sul Portale diocesano, ma anche agli indirizzi e-mail delle nostre parrocchie per condividere i suggerimenti.

25 aprile 2020

Un'altra lettera da monsignor Giuseppe Negri



Dom José Negri, PIME
Bispo Diocesano de Santo Amaro


Carissimo don Alfredo,

ho ricevuto la tua lettera del 15 febbraio e ti ringrazio di cuore per il pensiero che hai avuto nel porgermi l’invito per l’inaugurazione del nuovo oratorio.

In questi giorni siamo anche noi un po’ bloccati da questo virus, ma non ci arrendiamo. Stiamo pregando anche per voi perché le notizie che ci arrivano dall’Italia non sono tra le migliori. Forse quest’anno possiamo dire davvero che la Quaresima l’abbiamo vissuta sul serio. Chissà se questo ci aiuterà a pensare che non siamo così “onnipotenti” come crediamo di essere, se un minuscolo e invisibile “vermiciattolo” può mettere sottosopra tutta l’umanità.

Tornando all’oratorio, mi congratulo per tutto il lavoro fatto e realizzato, perché continuiamo a credere che l’oratorio sia un punto di riferimento per la crescita e l’educazione religiosa. Qui a San Paolo sentiamo molto la mancanza di questi luoghi per lo spazio che ci manca.

In ogni caso, mettendo la nostalgia da parte, l’oratorio mi ha fatto crescere come persona e come cristiano e ringrazio veramente il Signore per i preti, le suore, gli educatori e gli amici che mi hanno accompagnato all’oratorio di San Barnaba e che hanno fatto parte della mia storia. Ritornare all’oratorio “nuovo” è come far tornare vivo quel testimone che è stato tramandato grazie alla vita e alla donazione di tanti.

Grazie a te, don Alfredo, e a tutte le persone che ti sono state vicine per arrivare a questo traguardo.

Ti saluto caramente. Se ci sarà la visita ad limina col Papa verso la fine dell’anno ci rivedremo.

Ciao

+ José

San Paolo, 14 marzo 2020


[Nota della redazione: la lettera è in risposta all’invito a partecipare alla inaugurazione del nuovo oratorio e centro parrocchiale, che era prevista il 15 marzo scorso]

04 aprile 2020

Commento al Vangelo della Domenica delle Palme – Messa del giorno, di monsignor Gianantonio Borgonovo



[...]

Nella casa di Betania, casa dell’amicizia, il gesto di Maria è il simbolo dell’eccedenza, della sproporzione, dello “spreco” di profumo prezioso. La presenza di Gesù suscita questo gesto. Egli ne è anche l’interprete a fronte della ragionevolezza contabile espressa da Giuda.
Maria offre nardo purissimo, senza dire parola.
Giuda ne calcola il valore indicandone una ragionevole destinazione.
La presenza di Gesù, l’amico della casa di Betania, disorienta e suscita l’autenticità del gesto di Maria – paradigma del discepolo (amato). Offre tutto quello che è e che ha, e viene ospitata nel mistero di Gesù, che cammina verso la morte.
Gesù stesso poi si inginocchierà ai piedi dei discepoli, vi verserà dell’acqua, li asciugherà.
Passaggio di amore e di dedizione, senza calcolo.
Il fine dell’eccedenza e del profumo non è rinuncia, perdita, distacco, ma passaggio dell’amore divino. Non vi sono garanzie, autodifese, volontarismo etico, prestigio, che tutti insieme, ragionevolmente, possano disseminare il profumo nardo purissimo nelle esistenze dei discepoli.
Gesù, nella casa di Betania, interrompe le logiche umane, parlando del gesto unico, profetico di Maria. “Permettile di poter serbare questo gesto per il giorno della mia sepoltura”.
Non ci sfugge il contrasto tra la raffinatezza dei gesti silenziosi di Maria verso Gesù e la prospettiva di morte che lo attende. Se Gesù stesso non avesse spiegato quel gesto-simbolo-profezia, il nostro disorientamento sarebbe al pari di quello di Giuda. Domanda aperta la sua, contrasto tra il silenzio di Maria e le parole di Giuda.
Quel gesto rimarrà, perché narrato nell’evento del Vangelo, per ogni discepolo.

La libertà, la fragranza del profumo e la dolorosa coscienza di Gesù per la prossimità della sua morte costituiscono un “tempo sospeso” di contemplazione del dono della vita, del profumo che il dono di sé spande nella casa.
È il tempo “altro” della contemplazione, che ci porterà, ancora con delle donne che hanno mani cariche di aromi, al giardino dove era custodito il corpo di Gesù, nel mattino di Pasqua.

L’unicità del gesto di Maria semina sconcerto e così le parole di Gesù che lo interpretano. I silenzi del Vangelo sulle ragioni di Maria per quel gesto, non chiedono le nostre parole. In quelle di Gesù ne accogliamo il significato, abitando sulla soglia di un ascolto inafferrabile, evocandolo alla radice come mistero divino, offerto alle nostre intelligenze e ai nostri cuori.

Unicità del gesto, il sempre dei poveri…
Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me,
e cioè che tu (Dio) non puoi aiutare noi,
ma che siamo noi ad aiutare te,
e in questo modo aiutiamo noi stessi.
L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi,
e anche l’unica che veramente conti,
è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio.
E forse possiamo anche contribuire
a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini.
Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto
per modificare le circostanze attuali
ma anch’esse fanno parte di questa vita…
E quasi a ogni battito del mio cuore,
cresce la mia certezza:
tu non puoi aiutarci,
ma tocca a noi aiutare te,
difendere fino all’ultimo la tua casa in noi…[1]
[1] E. HILLESUM, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1996, 200510, pp. 169-170.

Commento al Vangelo della Domenica delle Palme – Messa del giorno, di don Walter Magni


Dopo aver risuscitato Lazzaro, Gesù torna a Betania e Maria, durante una cena imbandita in Suo onore, compie un gesto che anche Gesù terrà ben in mente. Ci sono gesti che dicono un perdono senza guadagno, un dono senza ricambio che una volta compiuti vanno oltre il tempo e lo spazio, introducendoci nel mondo stesso di Dio. Dopo che Gesù è entrato nella nostra storia, anche a noi è dato di entrare nella pienezza della gratuità dell'amore di Dio.

Un amico che ascolta

Al termine del racconto evangelico che narra la resurrezione di Lazzaro, Giovanni nota che i farisei “da quel giorno decisero di ucciderlo” (11,53). E, mentre nel clima della festa di Pasqua la gente s'aspetta di vedere Gesù, “i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo” Così Gesù decide di rimanere appartato, tanto che di lì a pochi giorni, la sera del nostro Giovedì santo, pregherà così: “la mia anima è triste fino alla morte” (Mt 14,34). Forse neppure i Suoi possono intuire cosa sta provando. Non Gli resta che stendere la mano, nella speranza che qualcuno almeno se ne accorga. Così, lasciandoSi ancora guidare dallo Spirito Si reca là dove qualcuno Lo ascolterà sicuramente. E “Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti”. Qui c'è però un capovolgimento. Non siamo noi che stiamo fuori, ma è Lui che, stando fuori dalla porta di casa nostra, nella notte, bussa e ci chiede di entrare (Ap 3,20). Un Dio che bussa, che chiede di entrare, sino a rischiare d'essere scambiato per un estraneo, un importuno (Luca 11,5-9). Lazzaro e le sue sorelle, invece, semplicemente gli aprono, accettando di compromettersi, di perdere la faccia per Lui. Tanto che “i capi dei sacerdoti decisero di uccidere anche Lazzaro”. Di Lazzaro il Vangelo non registra una parola. Solo potremmo immaginare un sussulto del cuore. Quando anche Dio è nei guai, allora “la dolcezza di un amico rassicura l'anima”. (Prov. 27,9).

La premura di Marta

Marta è probabilmente la donna di casa più pratica. Le basta vedere Gesù appena compare sulla soglia. La voce che il Maestro è ricercato dai capi sta circolando. Così decide di preparare “per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali”. In quella cena un po' improvvisata sta tutto il suo ringraziamento per il ritorno in vita del fratello Lazzaro. E già in quella cena s'intuisce l'anticipo, la profezia della cena che Gesù farà con i Suoi di lì a qualche giorno. Chiedendo come un testamento, che venga ripetuta nei secoli per sempre: “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Lo stesso clima della cena di Betania prelude a quella cena che Gesù stesso vorrà imbandire in una stanza al piano superiore, “per mangiare la pasqua con i suoi discepoli” (Mc 14,14). Ed è assistendo a questa cena di Betania che ancora possiamo sentire la condivisione della quale anche la nostra umanità è capace, offrendola a Gesù. Poco prima che anche Lui, mettendoSi in gioco tutto per amore nostro, ce la riproponga come un rito di valore infinito. Un'ospitalità, un'accoglienza tutta da imparare e da esercitare. In una lettera dal carcere Bonhoeffer scriveva: “I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza, questo distingue i cristiani dai pagani. ‘Non potete vegliare con me un'ora?', chiede Gesù nel Getsemani. Questo è il rovesciamento di tutto ciò che l'uomo religioso si aspetta da Dio. L'uomo è chiamato a condividere la sofferenza di Dio... Non è l'atto religioso a fare il cristiano, ma il prendere parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo”.

La tenerezza di Maria

Ed è in questo contesto così familiare che “Maria prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo”. Un gesto che solo l'amore può inventare. Rompendo ogni indugio, Maria compie un gesto che le viene dal profondo del cuore. Si avvicina dalla parte dei piedi di Gesù li abbraccia baciandoli; e versando un profumo costosissimo li asciuga con i suoi capelli. Pretendere di teorizzare su questo gesto di puro amore non porta a nulla. Qualcosa si potrebbe intuire rifacendoci a quell'ascolto intenso del Maestro che Maria ha espresso nei confronti del Maestro in occasione di una visita di Gesù a Betania (Lc 10,38-42). Forse, ascoltandoLo con attenzione, ha registrato qualche passaggio dell'anima del Maestro che l'ha molto colpita. Che può fare per consolarLo? Solo quello che è in grado di fare: un semplice gesto carico d'amore! Senza dire una parola. Stando anche noi in silenzio saremo più pronti a cogliere la fragranza del profumo che Maria versa sui piedi di Gesù. Una scena da contemplare, come quella del Discepolo amato che, durante l'ultima Cena, poserà la sua testa sul cuore di Gesù (Gv 13,23-26). Se, invece, osi prendere la parola per dare un giudizio, un parere, il rischio è quello stesso di Giuda che, rompendo l'incanto, osa proporre a tutti una pessima lettura del gesto di Maria. Fratello che ascolti: meglio prolungare il nostro silenzio nei giorni della tenerezza, tenendo lo sguardo fisso sul mistero di Gesù che avanza in tutto il Suo splendore.

02 aprile 2020

Niente ulivi benedetti (per ora)

La benedizione degli ulivi è posticipata in altra data, dopo l’emergenza attuale.


Così pure le celebrazioni pasquali sono da vivere in famiglia grazie alle dirette con l’Arcivescovo Mario su ChiesaTV (canale 195),
in streaming sul portale http://www.chiesadimilano.it
e sul canale YouTube http://www.youtube.com/chiesadimilano.


Si potrà anche ascoltarle via radio su Radiomarconi RadioMater.

·         Domenica 5 aprile ore 11.00 - Domenica delle Palme 
·         Giovedì 9 aprile ore 17.30 - S. Messa nella Cena del Signore 
·         Venerdì 10 aprile ore 15.00 - Celebrazione della Passione del Signore 
·         Sabato 11 aprile ore 21.00 - Veglia Pasquale 
·         Domenica 12 aprile ore 11.00 - Pasqua di Risurrezione

Nei prossimi giorni, qui e sulla pagina Facebook Due Cortili Gratosoglio, troverete ulteriori informazioni per le celebrazioni della Settimana Autentica. Intanto, raccomandiamo nuovamente la lettura del «Messaggio di speranza» dell’Arcivescovo, La potenza della sua resurrezione.





Lettera ai genitori dei Cammini dell'Iniziazione Cristiana

Carissimi, si avvicinano i giorni della Pasqua di risurrezione che quest’anno attendiamo in modo del tutto particolare. Non ci attendiamo miracoli risolutori del dramma che ha investito il mondo. Intuiamo invece che proprio lo sguardo a Gesù crocifisso e il cuore aperto all’annuncio della sua risurrezione saranno per noi, e per tutti, motivo di conferma nelle scelte di bene e di amore… fino al dono della vita (quante splendide testimonianze in questi giorni!) e di più intensa solidarietà fraterna tra gli uomini e i popoli. Unico è il destino dell’umanità che la Pasqua di Gesù rivela: la pienezza della vita risorta nell’abbraccio dell’Unico Padre.
Vivremo queste celebrazioni anzitutto in famiglia, con la possibilità di unirci all’Arcivescovo Mario per la celebrazione dei riti della Settimana Santa in TV (canale 195 CHIESATV) e anche utilizzando gli strumenti preparati per la preghiera in famiglia, che trovate sul Portale diocesano, mentre sulla pagina Facebook Due Cortili Gratosoglio potrete seguire la celebrazione del Giovedì Santo alle ore 18 che noi preti della Comunità pastorale vivremo insieme alle nostre suore.
Soprattutto sarà occasione di riscoprire la straordinaria possibilità che ci ricordano le parole dell’indimenticabile card. Martini quando raccontava ciò che vedeva nel tempo del suo ritiro a Gerusalemme:
«Il popolo ebraico, anche oggi, per trasmettere la fede non ha catechismo, catechisti, e nemmeno ore di religione. Come viene allora trasmessa la fede? In famiglia, non attraverso delle definizioni astratte, fatte imparare a memoria, ma attraverso la celebrazione delle varie feste. Le feste sono il grande luogo di insegnamento della fede per il bambino ebraico.
Per esempio a settembre si celebra la festa bellissima del capodanno ebraico. Poi la festa autunnale di Sukkot, cioè dei Tabernacoli o delle Tende, legata al raccolto dei frutti della terra, quando, nel giardino di casa o sul piccolo terrazzo, o sul balconcino ogni famiglia, con qualche semplice stuoia o frasca, si costruisce una casetta dove per una settimana si reca a pregare e a mangiare certi cibi, per non dimenticarsi dei quarant'anni di cammino nel deserto, quando Israele, prima di vivere dei frutti della terra promessa, veniva sostentato gratuitamente tutti i giorni dalla mano provvida di Dio. Successivamente ecco lo Yom-Kippur, il giorno solennissimo dell'espiazione, liturgicamente parlando più importante, di digiuno totale. Poi la festa di Chanukkah, che celebra la rinnovazione del tempio. Poi ancora Purim, una parola che vuol dire «sorti», il carnevale ebraico, quando si festeggia il cambio delle sorti con cui gli ebrei, destinati a sterminio, furono salvati per coraggiosa intercessione di Ester presso il re Assuero. E infine la grande festa di Pesach, della Pasqua di liberazione del popolo dalla schiavitù di Egitto, che è solennissima come da noi, cui segue la festa della Pentecoste, della Simchat-Torah, cioè della “gioia-per-il-dono-della-Legge”.
Va detto che ognuna di queste diverse feste è vissuta in famiglia con speciale intensità. Ognuna ha le sue preghiere proprie, che la mamma o il papà fa recitare a tutta la famiglia, a tutti i bambini. Per ognuna ci sono giochi, canti e colori propri. E quindi i bambini imparano così, celebrando nella vita, udendo raccontare la storia del popolo e di questo Dio misericordioso, vicino, fedele, presente, attraverso l'esperienza quotidiana.
Tornando a noi, certamente sono molto importanti il catechismo e la catechesi. Ma dobbiamo anche ritornare a scommettere sulla trasmissione in famiglia. E anche qui, appunto, non pretendendo dai genitori di trasformarsi in piccoli teologi che insegnano delle formule a memoria - questo lo potranno quanti sono in grado di farlo - ma soprattutto perché i genitori preghino coi figli e celebrino con loro le feste liturgiche nel tempo e modo dovuto.
Abbiamo moltissime splendide occasioni: l'Avvento, il Natale, la Quaresima, la Pasqua, la Pentecoste, il mese di maggio, le feste della Madonna, le feste dei Santi, le feste del santo Patrono.
Se ogni famiglia, in qualche maniera saprà dare anche solo un segno per ognuna di queste feste - non solo nella preghiera, ma anche nel cibo, nei piccoli regali, anche in qualche ornamento esteriore –allora ecco che il bambino avrà appreso senza bisogno di speciali artifizi di memoria, perché questa gli si fisserà indelebilmente nelle cose, nell'esperienza vissuta e quindi memorabile, consentendogli di entrare in modo graduale, simpatico, gioioso nell'atmosfera, nel mondo della fede».

Infine non potendo indicare un termine certo dell’emergenza in corso e pensando che avremo bisogno di tempo per riprendere un ritmo di vita “normale”, vi comunico che la celebrazione della prima Riconciliazione, della prima Comunione e della Cresima sono rinviate al prossimo mese di ottobre.

Milano, 31 marzo 2020.                                                                                   
don Alfredo con sr Maria Angela, Betta e le catechiste


Un lavoretto non poteva mancare. Se vi va, se vi avanza tempo… è da incollare su cartoncino o semplicemente da colorare e ritagliare. È la colomba della pace che Gesù risorto porta ad ogni famiglia. È la pace di chi sa che può contare sulla vicinanza di Gesù anche nei momenti difficili.


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