30 marzo 2020

Calendario per i prossimi giorni (3)

I nostri due oratori rimangono chiusi, per cui gli incontri e gli eventi precedentemente fissati (quindi anche quelli a livello decanale) sono annullati.

Le due chiese rimangono aperte per la preghiera personale, senza celebrazioni e senza gli appuntamenti previsti di Pane & Parola e delle Vie Crucis comunitarie.

I nostri sacerdoti sono comunque disponibili per le Confessioni, nel rispetto delle regole prescritte, telefonando alla casa parrocchiale di San Barnaba (don Giovanni) o a quella di Maria Madre (don Alfredo e don Mauro; don Francesco sta bene, ma rimane nel carcere di Opera per motivi prudenziali).



Tutti i giorni: un minuto di preghiera per la pace con l’Arcivescovo monsignor Mario Delpini (vedi qui). 


Tutti i giorni, alle 19: al suono delle campane, preghiamo l’Ave Maria per varie categorie di persone coinvolte dall’emergenza sanitaria, segnalate di volta in volta sulla pagina Facebook Due Cortili Gratosoglio. 

Dal lunedì al giovedì, alle 18.30: Messa dalla casa parrocchiale di San Barnaba, in diretta dalla pagina Facebook Due Cortili Gratosoglio. Il video non sarà disponibile dopo la diretta, per ragioni tecniche. 

Per i Venerdì di Quaresima, la scelta dei sussidi per il pio esercizio della Via Crucis è libera. In questa pagina abbiamo segnalato una piccola selezione di testi, in continuo aggiornamento, con qualche suggerimento per la meditazione. 

In diretta dal Duomo di Milano, dal lunedì al giovedì alle 8, la celebrazione della Messa.
Al venerdì, dalle 17.15 e sempre dal Duomo, Vespri, lectio sul Cantico dei Cantici e benedizione con la reliquia della Santa Croce.
Al sabato, alle 17.30, Messa Vigiliare vespertina.
Tutte le celebrazioni possono essere seguite o riviste qui.



Martedì 31 marzo
Ore 21: Via Crucis presieduta dall’Arcivescovo nella cappella feriale del Duomo per la Zona Pastorale I, trasmessa in diretta su Chiesa TV (canale 195 del digitale terrestre), in streaming sul Portale diocesano. Via radio su Radio Marconi e Radio Mater.
Il sussidio per seguirla si può scaricare da qui.


Giovedì 2 aprile
Ore 21: Rosario dalla Cappella San Giuseppe Moscati del Policlinico Gemelli di Roma. Diretta sui mezzi di comunicazione della Conferenza Episcopale Italiana (TV 2000, InBlu Radio e pagina Facebook.
Il sussidio per seguirlo si può scaricare qui.

Venerdì 3 aprile
Ore 21: Via Crucis presieduta dall’Arcivescovo nella cappella feriale del Duomo per la Zona Pastorale VII (ma nulla vieta di seguirla lo stesso), trasmessa in diretta su Chiesa TV, in streaming sul Portale diocesano. Via radio su Radio Marconi e Radio Mater.
Il sussidio per seguirla si può scaricare da qui.

Riguardo le celebrazioni della Settimana Autentica, nei prossimi giorni saranno pubblicate le informazioni dettagliate per le nostre parrocchie.
Intanto, invitiamo a leggere La potenza della sua resurrezione, il “messaggio di speranza” di monsignor Mario Delpini, che si affianca alla Lettera per il tempo di Pasqua “Siate sempre lieti nel Signore” (Fil 4,4), parte della Proposta pastorale La situazione è occasione.

27 marzo 2020

“Io sono stufo di leggere e anche di pregare”



Questa espressione è un passaggio di un più ampio dialogo sul gruppo di WhatsApp dei miei compagni di ordinazione, era il 1988. Forzatamente (o provvidenzialmente?) “svestiti” dai ruoli di ciascuno, ritroviamo anche così qualche spazio di fraterno e libero scambio, confronto e sostegno ma anche la possibilità di confessare il nostro umano smarrimento e i turbamenti nella fede. I benpensanti potrebbero stracciarsi le vesti al pensiero che un prete possa aver detto una cosa del genere. Anche a me ha colpito ma perché ha espresso ciò che anch’io provo dopo giorni e settimane come quelle che viviamo. Certo è cosa da elaborare ma fotografa bene lo stordimento che segue letture e ascolti in cerca di risposte o di spunti rassicuranti che non arrivano, e dopo invocazioni intense ma “inascoltate”.
Forse anche le sorelle di Marta e Maria hanno vissuto qualcosa del genere nel tempo della malattia e poi della morte di Lazzaro. Anche le loro attese sono rimaste frustrate e le preghiere inascoltate… soprattutto quell’invito rivolto al grande amico Gesù. Hanno sperimentato anche loro qualcosa del rompicapo del “distanziamento sociale” … per giungere a scoprire che erano attorniate da molti vicini “distanti” mentre erano apparentemente “distanti” da chi è risultato davvero vicino. Hanno provato a darsi da fare per alleviare le sofferenze del fratello e hanno pregato per lui inutilmente. Hanno vissuto l’angosciosa impotenza di fronte alla morte e il pianto alla tomba.
Il racconto della risurrezione di Lazzaro può risuonare alle orecchie del nostro cuore quest’anno in modo tutto particolare. Possiamo a pieno titolo entrarci anche noi col cuore carico di tutto il dolore di questi giorni.
È bene “stare” in compagnia della Parola per poi scoprire che è lei a farti compagnia. Una compagnia discreta e paziente, delicata e fedele, capace di ascoltarci prima di parlare, disposta a farci da specchio perché impariamo a riconoscere ciò che si muove dentro di noi, non anestetizzante e desiderosa di corrispondere alle nostre attese ad ogni costo ma pronta a pagare ogni costo per il nostro vero bene.
Così come siamo, riconoscendo addirittura che siamo “stufi di leggere e anche di pregare”, proviamo a lasciarci raggiungere dalla compagnia del Vangelo della risurrezione di Lazzaro. E come il fermo immagine di un film sostiamo sulle scene, sulle singole parole e sui gesti, sui sentimenti che esprimono. È un esercizio prezioso da fare senza fretta e senza attese. Nessuno può farlo per te. Dopo aver letto qualche spunto, anche da questi fogli, prova anche tu. Un po’ alla volta la preoccupazione di trovare risposte e di capire, o il tumulto di sentimenti ingombranti e paralizzanti, farà spazio al silenzio disarmato ma non sconfitto di chi scopre che alla fine rimarranno «soltanto loro due: la misera e la misericordia» (come s. Agostino commentava nel commento all’episodio del perdono alla peccatrice): la misera condizione di ciascun uomo sulla terra e Gesù-misericordia-di-Dio.
Forse questi giorni portano con sé la grazia di uno sguardo nuovo su Dio, sul mondo, sugli altri, su noi stessi: che è lo stesso sguardo che Gesù di Nazareth ci ha rivelato vivendo in mezzo a noi. Ci è chiesta la disponibilità anzitutto di gustarne la bellezza e la verità e poi di imparare a farlo nostro. E se la strada fosse quella delle “lacrime”? Vi lascio ad alcuni spunti di papa Francesco su questa intuizione.
Buona domenica a tutti.
don Alfredo

La strada delle lacrime secondo papa Francesco


Papa Francesco parlando ai giovani dell’Università Santo Tomas a Manila affermava: «Al mondo di oggi manca il pianto! [...] Certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime. Invito ciascuno di voi a domandarsi: io ho imparato a piangere? [...] Se voi non imparate a piangere non siete buoni cristiani. E questa è una sfida […] Siate coraggiosi, non abbiate paura di piangere!» (Manila, 18 gennaio 2015).

Questo testo, non a caso, è ripreso e riproposto ai giovani nella recente esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit:
76. Forse «quelli che facciamo una vita più o meno senza necessità non sappiamo piangere. Certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime. Invito ciascuno di voi a domandarsi: io ho imparato a piangere? Quando vedo un bambino affamato, un bambino drogato per la strada, un bambino senza casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino usato come schiavo per la società? O il mio è il pianto capriccioso di chi piange perché vorrebbe avere qualcosa di più?» (cfr. a Manila). Cerca di imparare a piangere per i giovani che stanno peggio di te. La misericordia e la compassione si esprimono anche piangendo. Se non ti viene, chiedi al Signore di concederti di versare lacrime per la sofferenza degli altri. Quando saprai piangere, soltanto allora sarai capace di fare qualcosa per gli altri con il cuore.

Scrive mons. Semeraro, vescovo di Albano: «Le lacrime di cui parla Papa Francesco non ci rimandano a un cristianesimo piagnone, ma a un cristianesimo desideroso di incontrare persone con le quali tuffarsi nell’acqua della misericordia di Dio, l’unica in grado di sciogliere la durezza del cuore umano e inondarlo con la gioia del Vangelo»
(Presentazione al volume di Luca Saraceno La saggezza delle lacrime e il significato del pianto, EDB, Bologna, 2015, pagina 21).

«Le lacrime di Gesù per la morte di Lazzaro», spiega Bergoglio, «hanno sconcertato tanti teologi nel corso dei secoli, ma soprattutto hanno lavato tante anime, hanno lenito tante ferite. Anche Gesù ha sperimentato nella sua persona la paura della sofferenza e della morte, la delusione e lo sconforto per il tradimento di Giuda e di Pietro, il dolore per la morte dell’amico Lazzaro». Ma se Gesù piange, spiega il Papa, «anch’io posso piangere sapendo di essere compreso. Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un luogo dove poter trovare consolazione. Il pianto di Gesù non può rimanere senza risposta da parte di chi crede in Lui. Come Lui consola, così noi siamo chiamati a consolare». (da Famiglia Cristiana maggio 2016, in riferimento alla Veglia di preghiera per asciugare le lacrime)

Commenti al Vangelo della V Domenica di Quaresima

Le arance di Lazzaro e la bara-su-misura
di don Marco Pozza

In quella casa Cristo amava mostrarsi veramente uomo. Era come se, per il tempo che vi sostava, lasciasse la sua divinità fuori dalla porta, quasi fosse un qualcosa d’ingombrante in quello spazio amico. Quella casa è il numero civico di tre fratelli: Marta, Maria, Lazzaro. Gente alla-buona, che non ha mai chiesto il minimo favore all’Amico. Forse è proprio per questo che vi fa sempre ritorno. Da quanto si conoscessero, il Vangelo non esprime parola. Il tutto che dice vale molto di più: «Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro». La qualità di modo a scapito della quantità di tempo: sarà sempre così dietro a Cristo. Questo è tutto.
Un giorno capitò un fatto strano. Cristo era in trasferta in Transgiordania e, improvvisamente, gli viene mandata un’ambasceria. Il contenuto è da vertigini: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». L’oggetto del discutere è Lazzaro, e dunque non uno qualsiasi: l’amico-personale di Cristo. Ciò che t’immagini è che Cristo dia un’accelerata, firmi un improvviso cambio di percorso e s’affretti prima possibile a Betania. Niente di tutto ciò, esattamente l’opposto: «Quando sentì che era malato rimase due giorni nei luoghi in cui si trovava». Siccome Lazzaro ha bisogno, l’Amico pare fregarsene. E due giorni, per chi ha appuntamento con la morte, sono un lasso di tempo enorme, decisivo, definitivo. Letale.
Succede sempre così, con Cristo: quando serve, fatalità, è sempre lontano. Dista almeno il tempo che serve per lasciare che la morte faccia il suo corso.

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Le lacrime di chi ama, una lente sul mondo
di padre Ermes Ronchi

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è la pagina dove Gesù appare più umano. Lo vediamo fremere, piangere, commuoversi, gridare. Quando ama, l’uomo compie gesti divini; quando ama, Dio lo fa con gesti molto umani. Una forza scorre sotto tutte le parole del racconto: non è la vita che vince la morte. La morte, nella realtà, vince e ingoia la vita. Invece ciò che vince la morte è l’amore. Tutti i presenti quel giorno a Betania se ne rendono conto: guardate come lo amava, dicono ammirati. E le sorelle coniano un nome bellissimo per Lazzaro: Colui–che–tu–ami.

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Commento
di don Pablo M. Edo, dell’Opus Dei

La quinta domenica di Quaresima ci presenta il racconto della risurrezione di Lazzaro, il settimo segno o miracolo narrato da san Giovanni, l’ultimo e il più portentoso, quello che rivela Gesù Signore della vita e della morte.
San Giovanni sottolinea che Marta, Maria e Lazzaro erano amici di Gesù. Frutto di questa reciproca familiarità, le sorelle inviano un messaggio al Maestro per informarlo che il fratello si è ammalato. L’evangelista aggiunge che “Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro” (v. 5). E più avanti, con il versetto più breve della Bibbia, afferma che Gesù si commosse e “scoppiò in pianto” (v. 35). Questo affetto del Signore ha sempre destato lo stupore dei santi e il loro desiderio di ricambiare. San Josemaría Escrivá de Balaguer si esprimeva così: “Gesù è tuo amico. L’Amico. Con un cuore di carne, come il tuo. Con gli occhi, dallo sguardo amabilissimo, che piansero per Lazzaro... E così come a Lazzaro, vuol bene a te”.

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21 marzo 2020

Sulla Via della Croce, anche in questi giorni

Carrying Cross Silhouette

La Via Crucis, simile a un teatro sacro, è un antico atto di pietà che arricchisce di sentimento e di partecipazione la meditazione della Morte e Risurrezione di Gesù.
Le sue ultime ore vengono attraversate come da un fermo immagine costante e chiedono al nostro cuore di mettersi nella prospettiva di Gesù e degli altri protagonisti che di tappa in tappa ci vengono presentati.
Come per tutte le altre preghiere, così come raccomanda Gesù nel Vangelo, anche per questa pratica non saremo ascoltati a forza di parole! In altre parole: non è importante leggere i testi come se fossero un libro di studio!
Le parole servono perché il nostro cuore possa scendere al livello della contemplazione, fatta per lo più di silenzio e di pace.
Ecco allora qualche consiglio:
- resta in silenzio davanti al Signore e lasciati avvolgere da quella pace che nulla in questo momento può turbare.
- Affida al Signore i tuoi pesi, le tue croci, quanto di più ti sta a cuore, ma anche le tue gioie e le persone che ti sono care...i loro volti magari ritorneranno prepotenti lungo la preghiera: non sarà una distrazione ma l'appello dello Spirito perché tu possa intercedere per loro! 
- Inizia la via crucis con un segno di croce.
- Leggi i testi e se qualche parola ti colpisce particolarmente resta fisso su di essa ripetendola e trasformandola in invocazione
- Concludi con il Padre nostro e chiedi che il frutto della tua preghiera si trasformi in opere di Giustizia e di Amore.
Don Giovanni
Alcuni schemi suggeriti

Attenzione: non sempre sono seguite tutte e quattordici le stazioni della Via Crucis tradizionale, ma solo alcune. In altri casi, sono scelte anche alcune stazioni dalla Via Crucis biblica, ossia quelle che seguono più direttamente i racconti della Passione nei Vangeli.
A volte sono riportate delle invocazioni a cui rispondere, altre, invece, delle preghiere più estese. Potete quindi scegliere il testo che si adatta di più alla vostra sensibilità o al vostro modo di pregare, da soli o in famiglia.

Via Crucis vocazionale con meditazioni del cardinal Carlo Maria Martini (con lo schema tradizionale; scaricabile da qui)

Innamorati e vivi: testo proposto da Missio Giovani con meditazioni di sant’Oscar Arnulfo Romero, nel quarantesimo anniversario del suo martirio (schema tradizionale)

Testo predisposto dai missionari del PIME, in ricordo del centocinquantesimo anniversario del loro arrivo in Cina e per quanti, in Italia e in tutto il mondo, soffrono per via del Coronavirus (sette stazioni dello schema tradizionale)

Umiliò se stesso, testo curato dalla Comunità monastica “SS. Trinità” di Dumenza, usato in parte per le Vie Crucis per le zone pastorali (quattordici stazioni, schema tradizionale)

Dal sito Vino Nuovo 
·         La via Crucis di Chiara e Diego (sette stazioni dello schema tradizionale), di Chiara Bonvicini e Diego Andreatta
·        La via Crucis di Chiara (sette stazioni dello schema biblico), di Chiara Bertoglio 
·        La via Crucis di M. Teresa e Francesco (otto stazioni compresa quella della Risurrezione, perlopiù dello schema tradizionale), di Patrizia Sartori, Antonio Geminiani, Maria Teresa Pontara e Francesco Pederiva 
·         La Via Crucis nel tempo del Coronavirus (sette stazioni perlopiù dello schema tradizionale), di Giorgio Bernardelli
·         La Via Crucis. Andrà tutto bene se... (sette stazioni tra schema tradizionale e biblico), di Luca Bortoli


Dal sito Chi ci separerà, promosso dalla Chiesa Cattolica Italiana 
·        Compassione, con testi del cardinal Carlo Maria Martini (quattordici stazioni più la conclusione, schema tradizionale) 
·         …sotto la sua Croce, con testi di san Giuseppe Moscati (quattordici stazioni più la conclusione, schema tradizionale)
·         Via Crucis, Via Amoris, curata dall'Ufficio di Pastorale Familiare della diocesi di Tursi-Lagonegro, con testi dall'Esortazione apostolica Amoris Laetitia (quattordici stazioni, schema tradizionale)



19 marzo 2020

Calendario per i prossimi giorni (2)

Aggiornato al 26 marzo 2020

In base alle disposizioni del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri di lunedì 9 marzo e della Nota del Vicario Generale monsignor Franco Agnesi, sono sospese le Messe con il popolo, i matrimoni, i Battesimi e le celebrazioni esequiali.

I nostri due oratori rimangono chiusi, per cui gli incontri e gli eventi precedentemente fissati (quindi anche quelli a livello decanale) sono annullati.

Le due chiese rimangono aperte per la preghiera personale, senza celebrazioni e senza gli appuntamenti previsti di Pane & Parola e delle Vie Crucis comunitarie.

I nostri sacerdoti sono comunque disponibili per le Confessioni, telefonando alla casa parrocchiale di San Barnaba (don Giovanni) o a quella di Maria Madre (don Alfredo e don Mauro; don Francesco sta bene, ma rimane nel carcere di Opera per motivi prudenziali).
La celebrazione del sacramento della Riconciliazione non dovrà però svolgersi nel confessionale, ma secondo quanto indicato al punto 5 della Nota del Vicario Generale.

Anche le iniziative di solidarietà precedentemente annunciate, ovvero la raccolta delle rinunce quaresimali per i fidei donum della nostra diocesi (domenica 22) e quella di beni di prima necessità a sostegno della Piccola Bottega della Carità di MMC (domenica 29), sono rimandate a data da destinarsi.

In compenso, però, la Fraternita di Misericordia di via Baroni ha lanciato una campagna fondi per acquistare dispositivi di protezione per volontari e dipendenti. Si può aderire andando su questa pagina.

Tutti i giorni: un minuto di preghiera per la pace con l’Arcivescovo monsignor Mario Delpini (vedi qui).

Tutti i giorni, alle 19: al suono delle campane, preghiamo l’Ave Maria per varie categorie di persone coinvolte dall’emergenza sanitaria, segnalate di volta in volta sulla pagina Facebook Due Cortili Gratosoglio.

Dal lunedì al giovedì, alle 18.30: Messa dalla casa parrocchiale di San Barnaba, in diretta dalla pagina Facebook Due Cortili Gratosoglio. Il video non sarà disponibile dopo la diretta, per ragioni tecniche.

Per i Venerdì di Quaresima, la scelta dei sussidi per il pio esercizio della Via Crucis è libera. A questa pagina abbiamo segnalato una piccola selezione di testi, in continuo aggiornamento, con qualche suggerimento per la meditazione.

Giovedì 26 marzo
Ore 21: Preghiera promossa dal Forum delle Religioni di Milano.

Venerdì 27 marzo
Ore 18: preghiera del Santo Padre in piazza San Pietro, annunciata dopo l'Angelus di domenica 22 marzo.
La preghiera sarà trasmessa in diretta tramite i mezzi di comunicazione. A tutti coloro che la seguiranno sarà possibile ottenere l'indulgenza plenaria, secondo quanto stabilito dal decreto della Penitenzieria Apostolica del 20 marzo.
Ore 21: Via Crucis presieduta dall'Arcivescovo, inizialmente prevista per la Zona Pastorale IV (ma nulla vieta di seguirla lo stesso), trasmessa in diretta dalla cappella feriale del Duomo su Chiesa TV (canale 195), in streaming sul Portale diocesano. Via radio su Radio Marconi e Radio Mater.

Il sussidio per seguirla si può scaricare da qui.

Domenica 28 marzo, alle 11: Messa presieduta dall’Arcivescovo dal Duomo. Diretta su Chiesa Tv, Radio Marconi, Radio Mater, www.chiesadimilano.it e sul canale YouTube chiesadimilano.it.
Il sussidio per la preghiera in famiglia si può scaricare da qui.

In diretta dal Duomo di Milano, dal lunedì al giovedì alle 8, la celebrazione della Messa.
Al venerdì, dalle 17.15 e sempre dal Duomo, Vespri, lectio sul Cantico dei Cantici e benedizione con la reliquia della Santa Croce.
Al sabato, alle 17.30, Messa Vigiliare vespertina.
Tutte le celebrazioni possono essere seguite o riviste qui.

Riguardo al Comunicato del Vicario Generale sulle celebrazioni della Settimana Autentica e della Pasqua, invitiamo ad aspettare il programma per le nostre parrocchie, che verrà pubblicato qui nei prossimi giorni.

Se solo vedessimo!

Che strana quaresima. Tosta, dura. Con molte chiese chiuse. E la gente divorata dalla paura.
Paura di cosa? Di essere contagiati? Sì, certo. Ma, soprattutto, paura di morire.
Perché nessuno più ci parla della morte. Nessuno ci prepara a morire. Per un attimo ci siamo creduti immortali. Come se la scienza o la politica o l’economia avesse una soluzione per tutto. Teneri.
Ci lasciamo prendere dalla paura. Il peggiore dei virus.
Imparassimo a vedere. Imparassimo a capire quanta grazia c’è in questo spavento!
Imparassimo a fare come il profeta Samuele quando deve scegliere il nuovo re e che, a nome di Dio, rifiuta i sani e muscolosi figli di Iesse perché Dio vede il cuore e non l’apparenza e il cuore dell’adolescente Davide, agli occhi di Dio, è uno spettacolo!Imparassimo… Il rischio, invece, è quello di sprofondare nella notte.
Non quella che si alterna al giorno, che può essere dolce e intensa. Ma quella dello spirito, dell’anima, dell’inconscio. Uno stato in cui la tenebra contraddistingue le nostre scelte, il nostro percorso.
Siamo assetati e Cristo è l’acqua. Siamo ciechi e Cristo è la luce.
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Arcabas, "Guarigione del cieco nato"


Sono nato cieco.

Percepisco il mondo attorno a me, ma non lo vedo, lo sento. Spesso vi inciampo, nonostante la mia capacità di muovermi tra ostacoli invisibili e infidi.
Chiedo aiuto, ma non sempre è quello giusto e in questo buio totale sono solo, debole, minacciato. Credo, però, che potrò vedere, lo credo davvero, come posso non crederlo? È la speranza che mi tiene in vita. Per questo chiedo.
E ora vedo! Quale meraviglia! Resto lì con la bocca aperta, spalancata e muta per lo stupore.
Ho sentito le tue mani, Signore, prima delle parole. Mani calde, sicure, mani che amano. Le mie mani erano congiunte, in una preghiera di speranza, le hai prese nelle tue. Ti sei fermato, mi hai sentito, hai colto il mio grido. Era dolore, smarrimento, lo hai capito. E mi hai dato un senso, mi hai dato il valore che non sentivo.
Ancor prima di vedere, di rendermi conto di vedere, mi sono sentito illuminato. La luce a volte la senti, ti investe come un abbraccio. Così mi sono fermato, impietrito, quasi senza respirare. Ho pensato di essere morto.
Qualcuno forse lo ha sempre pensato, ho sentito la pelle del mio volto raffreddarsi, mi dicevano “Sei grigio? Che ti succede?”. Era fango. Ho avuto paura, ma ho avuto fede. E lavati gli occhi ho visto. Ora sono sicuro di vivere. Sento il sangue che scorre, sento il calore che dalle tue mani si è irradiato in tutto il corpo. Sono rinato, questa volta sono nato tutto. E rinascere è stato come sprofondare in un mondo di colori.

Ho due occhi nuovi, grandi, vivi.
Non riesco più a chiuderli, sono illuminato,
ogni cosa è illuminata
e tutto quello che vedo è parte di me
e io mi sento parte di te, Signore.

Arcabas è stato definito il “pittore della fede felice”: lui stesso, intervistato sul suo modo di dipingere, ha risposto che tutto scaturisce dal suo essere uomo di fede. Dal credere al vedere: è la fede ad animare il suo sguardo e il talento a dare forma ai racconti. Una catechesi per immagini che sollecita non solo la parte cognitiva, ma anche quella sensibile dell’osservatore, coinvolto in un’esperienza di spiritualità sinestetica.
Il quadro è un’illustrazione che descrive il fatto con tratti semplici e incisivi, ma anche un discorso simbolico affidato ai personaggi e soprattutto ai colori, in un continuo contrasto di toni vividi e “vivi” e toni freddi e spenti. Lo sfondo rosso, quella forma sul capo del cieco in cui si incontrano i colori, la linea delle mani di Gesù che incorniciano le mani giunte del cieco e conducono ai suoi occhi, luogo fisico e simbolico del racconto, delineano lo spazio sacro in cui è avvenuto il miracolo. E cos’è il miracolo se non l’irrompere dello straordinario nella dimensione quotidiana, la trasfigurazione della ordinarietà, la sua nuova configurazione?
Tutto converge sugli occhi del cieco, due nuovi occhi, bianchi, vividi, spalancati, come un innesto, una trasformazione, una trasfigurazione. Le dita di Gesù toccano gli occhi e infondono nelle orbite la vista, una vista che è per il cieco nuova vita, un battesimo, un modo nuovo di stare nel mondo e con gli altri. Il suo stupore e quella bocca aperta, non appena troveranno le parole in cui riversare la gioia, si trasformeranno in gratitudine e condivisione.
Ogni nascita e le mille rinascite dell'Umanità avvengono in un fascio di luce, sono doni di luce.

Testo tratto dal sussidio per animatori pubblicato sul sito della Diocesi di Piacenza-Bobbio

Una domanda cieca: “Chi ha peccato?”

L'inizio del brano ci immette con immediatezza drammatica alle domande di questi giorni: “Chi ha peccato? Di chi è la colpa?”. La domanda i discepoli se la fanno di fronte ad uno sconosciuto fermo al bordo della strada, ma per noi la domanda è più drammatica, perché ce la facciamo a riguardo di persone vicine, di amici, di fratelli colpiti dal male. “Di chi è la colpa?” Chissà perché questa domanda sembra quasi inevitabile. Non è la domanda giusta, di per sé, e infatti Gesù la scarta, invita i discepoli a guardare altrove. Però è una domanda che si impone, sembra quasi inevitabile: “Di chi è la colpa?” Perché questa domanda insorge dentro di noi? Io credo che sia per il fatto che noi non sappiamo sostenere il male, reggere impotenti il dolore, le situazioni di malattia. Tutto questo ci fa così male che non le reggiamo e dobbiamo in qualche modo e scaricarle. Per questo cerchiamo un colpevole; “se c'è un colpevole io non centro, io sono in salvo, non mi tocca!” Ecco che si cerca (e si trova) ogni volta il colpevole di turno: l'untore, piuttosto che il complotto internazionale, la stupidità della popolazione che non si è difesa. Il colpevole mette ciascuno al riparo – o almeno crediamo – senza che ci si debba assumere alcuna responsabilità. E invece non è così, non è così! Noi siamo tutti responsabili per tutto e di tutti! La ricerca del colpevole – “chi ha peccato?” – è una “domanda cieca”, non porta da nessuna parte, ma soprattutto è un modo di non lasciarsi toccare dalle situazioni. Invece l'unico modo di affrontare il male che ci attornia, di attraversare il buio, le situazioni oscure, è di entrare dentro di esse, di lasciarsi toccare da esse, dovessero anche ferirci.

Le opere della luce.
E infatti Gesù risponde alla domanda dei discepoli spostando altrove la ricerca. Dobbiamo cercare non la colpa sua o dei suoi genitori, ma dobbiamo compiere le opere della luce! Anche nei momenti più oscuri c'è ancora un po' di luce, c’è del bene che possiamo fare e che accade sotto i nostri occhi, se lo sappiamo vedere. Dobbiamo restare tenacemente attaccati a tutta la luce che c’è, finché è giorno! Tenere accesa la luce che c’è, orientarci con essa senza lasciarci accecare dall’oscurità. Perché le tenebre sono accecanti e insieme seducenti. Noi subiamo spesso una sorta di fascinazione per l’oscurità, vediamo subito le cose brutte, le cose negative, gli errori, il male, i colpevoli. Lo vediamo subito, e non vediamo il bene. Gesù sposta il nostro sguardo verso le opere della luce, la possibilità di bene che è ancora possibile.

Il tocco della grazia e la promessa che mettono in cammino.

Che cosa fa allora Gesù? La sua opera avviene attraverso un gesto e una parola. Per prima cosa Gesù tocca il cieco. Compie gesti che sono evidentemente simbolici: prende della
Duccio da Boninsegna – 1308
terra, sputa nel fango, lo mette sugli occhi dell’uomo cieco. Sono gesti che richiamano la creazione dell’uomo, che indicano un contatto e una comunicazione dello spirito che fa vivere. Come è nella creazione di Dio che alita il suo respiro sull’uomo fatto di terra perché prenda vita. Noi oggi siamo terrorizzati, abbiamo paura che il fiato, il respiro di qualcuno, ci infetti e ci porti la morte. Ma è ancor più vero il contrario: noi riceviamo la vita se qualcuno ci respira addosso, ci alita, ci ossigena con il suo spirito. Non possiamo vivere sempre con le mascherine, cercando di immunizzarci da ogni contatto. Noi abbiamo bisogno che qualcuno ci tocchi, che ci raggiunga con il suo alito perché quel soffio è vita, non porta la morte, porta la forza della vita: ogni volta che qualcuno che ci vuole bene ci tocca, ci bacia, ci accarezza, noi viviamo. Senza siamo morti. È un atto creativo, perché l'amore è capace di ricreare, ha una potenza creatrice straordinaria.

La seconda azione che Gesù compie è il dono di una parola che è una promessa e un ordine: “va' a lavarti”. Inizia qui il cammino di una creatura nuova, di un uomo nuovo. Il cieco inizia una vita nuova perché impara a camminare fidandosi della parola, della promessa di Gesù. Questo dice molto dell’esperienza della fede. Credere è essere toccati da una grazia, ricevere un tocco di grazia, e mettersi in cammino. Basta poco, un tocco appena di grazia che ti fa vivere. Nel momento in cui la ricevi non vedi il Signore, non lo sai neppure di essere stato ricreato, ma lo senti, lo intuisci perché di nuovo impari a fidarti. La promessa indica una rigenerazione, un futuro possibile: “va’, cammina, lavati e purificati, rinasci e alzati, e vedrai in modo nuovo”. Così è nell’esperienza della fede di tutti: quando il Signore c’è e ci tocca, passa a fianco della nostra vita, noi non lo vediamo. Percepiamo in maniera intuitiva una presenza di vita, ma non lo vediamo; solo dopo aver imparato a camminare e sorretti dalla sua promessa, giungiamo a riconoscerlo. Ma prima c’è un lungo e arduo percorso durante il quale, fidandosi di questa parola, impariamo a reggere il tempo della sua assenza. Perché in tutto il brano Gesù è un grande assente: si presenta all’inizio e alla fine, ma nel corso drammatico di tutta la parte centrale del cammino, quando il cieco deve reggere la prova, quest'uomo è da solo, e Gesù è assente. Eppure, quell’assenza non è priva di forza, è un'assenza che ha lasciato una traccia, la sua parola, l'esperienza di quell’incontro che lui non può dimenticare e che lo tiene vivo; fa si che possa reggere anche le provocazioni, le interrogazioni di tutti quelli che lo mettono in dubbio; lui non lo ha visto, eppure qualcosa è accaduto di straordinario! Credere significa anche questo: imparare a camminare reggendo il tempo dell’assenza di Gesù, fidandosi solo della parola ascoltata.

Io parlo con te
Merita una parola anche il finale e ci può essere utile per comprendere il tempo che stiamo vivendo. Sono giorni nei quali dobbiamo imparare a camminare al buio: a camminare senza vedere con chiarezza, con immediatezza, dove si va, il senso di quello che ci sta accadendo, che cosa bisogna fare; non lo sappiamo, brancoliamo, camminiamo al buio, ma proprio perché non vediamo tutto chiaro, possiamo ascoltare. Sostenuti e sorretti da una parola arriveremo all'incontro col Signore solo perché prima lo abbiamo saputo ascoltare, mentre camminavamo al buio. Infatti, quando il cieco giunge al termine del suo cammino, il Signore gli va incontro e gli dice: “Credi tu nel Figlio dell’uomo?” Il cieco risponde: “E chi è Signore perché io creda in lui?”. “Sono io che parlo con te”. Se impariamo a fidarci, a “rimanere nella parola” (come ha detto Gesù domenica scorsa), se camminiamo anche al buio guidati dalla parola, se pazientemente abbiamo imparato a sostare a lungo nella parola, ruminandola – come dicono i monaci –, interiorizzandola, ecco allora poi arriveremo a scoprire il suo volto. “Perché io parlo con te, parlo sempre con te; la mia parola ti è vicina; potranno esserci momenti oscuri, ci saranno certamente giorni nei quali dovrai camminare al buio, ma io non smetterò di parlare con te: io sono colui che parla con te”. Parlaci signore! Rendici capaci di ascolto fiducioso della tua parola; questi giorni nei quali ci manca tanto l’eucaristia, cioè la presenza del Signore, noi camminiamo al buio sorretti dalla tua parola, e tu, Signore, non smettere mai di rivolgerla a noi.

don Antonio Torresin

13 marzo 2020

Calendario per i prossimi giorni


In base alle disposizioni del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri di lunedì 9 marzo e della Nota del Vicario Generale monsignor Franco Agnesi, sono sospese le Messe con il popolo, i matrimoni, i Battesimi e le celebrazioni esequiali.

I nostri due oratori rimangono chiusi, per cui gli incontri e gli eventi precedentemente fissati (quindi anche quelli a livello decanale) sono annullati.

Le due chiese rimangono aperte per la preghiera personale, senza celebrazioni e senza gli appuntamenti previsti di Pane & Parola e delle Vie Crucis comunitarie.

I nostri sacerdoti sono comunque disponibili per le Confessioni, telefonando alla casa parrocchiale di San Barnaba (don Giovanni) o a quella di Maria Madre (don Alfredo e don Mauro; don Francesco sta bene, ma rimane nel carcere di Opera per motivi prudenziali).
La celebrazione del sacramento della Riconciliazione non dovrà però svolgersi nel confessionale, ma secondo quanto indicato al punto 5 della Nota del Vicario Generale.

Anche le iniziative di solidarietà precedentemente annunciate, ovvero la raccolta delle rinunce quaresimali per i fidei donum della nostra diocesi (domenica 22) e quella di beni di prima necessità a sostegno della Piccola Bottega della Carità di MMC (domenica 29), sono rimandate a data da destinarsi.

In compenso, però, la Fraternita di Misericordia di via Baroni ha lanciato una campagna fondi per acquistare dispositivi di protezione per volontari e dipendenti. Si può aderire andando su questa pagina.

Tutti i giorni: un minuto di preghiera per la pace con l’Arcivescovo monsignor Mario Delpini (vedi qui).

Tutti i giorni, alle 19: al suono delle campane, preghiamo l’Ave Maria per varie categorie di persone coinvolte dall’emergenza sanitaria, segnalate di volta in volta sulla pagina Facebook Due Cortili Gratosoglio.

Dal lunedì al giovedì, alle 18.30: Messa dalla casa parrocchiale di San Barnaba, in diretta dalla pagina Facebook Due Cortili Gratosoglio. Il video non sarà disponibile dopo la diretta, per ragioni tecniche.

Per i Venerdì di Quaresima, la scelta dei sussidi per il pio esercizio della Via Crucis è libera. Segnaliamo però le meditazioni proposte sul sito Vino Nuovo: questa settimana, le stazioni sono commentate da due coppie: Patrizia Sartori e Antonio Geminiani, Maria Teresa Pontara e Francesco Pederiva.

Domenica 15 marzo, alle 11: Messa presieduta dall’Arcivescovo dalla chiesa di San Giuseppe ai Padiglioni, nel Policlinico di Milano (diretta televisiva su Raitre).
A questo indirizzo è possibile scaricare il sussidio per la preghiera in famiglia.
Giovedì 19 marzo, alle 21: Rosario per l’Italia, secondo le indicazioni della Conferenza Episcopale Italiana. La diretta televisiva è su TV 2000 (canale 28 del digitale terrestre) dalla basilica di San Giuseppe al Trionfale a Roma, ma anche su Chiesa TV (canale 195 del digitale terrestre), su Radio Mater e sul Portale diocesano, preceduta, alle 20.55, da un videomessaggio dell'Arcivescovo.
Il sussidio per seguire la celebrazione è scaricabile da qui.

In diretta dal Duomo di Milano, dal lunedì al giovedì alle 8, la celebrazione della Messa.
Al venerdì, dalle 17.15 e sempre dal Duomo, Vespri, lectio sul Cantico dei Cantici e benedizione con la reliquia della Santa Croce.
Al sabato, alle 17.30, Messa Vigiliare vespertina.
Tutte le celebrazioni possono essere seguite o riviste qui.


Commento al Vangelo della III domenica di Quaresima di don Walter Magni


Tanto era sciolto e ironico il dialogo tra Gesù e la Samaritana domenica scorsa, quanto dura e carica di minacce di morte è la discussione tra Gesù e alcuni Giudei a riguardo di Abramo, che ci racconta il Vangelo di oggi. Con un particolare interessante: questi Giudei, stando al vangelo di Giovanni, “avevano creduto in lui”, cioè avevano cominciato a dare credito a Gesù, Gli aveva dato inizialmente fiducia. Come illudendosi nei Suoi confronti.



Il contesto.

Non sono giorni facili. Gesù Si sente spiato, controllato. Con la Sua predicazione ha dato inizio a un movimento spirituale che suscita anche tante domande. Giovanni annota che “quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto. I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: ‘Dov’è quel tale?’. E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: ‘È buono!’. Altri invece dicevano: ‘No, inganna la gente!’. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei” (7,10-13). E mentre i capi dei Giudei vogliono arrestarLo, “nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora” (7,30). E ci si potrebbe allora domandare: come è possibile che una religiosità come quella ebraica abbia cercato di annientare Gesù per quello che aveva detto e compiuto con amore appellandoSi allo stesso Dio? È possibile che serpeggino certe malattie dentro le nostre religioni, respingendo chi dice di parlare nel nome di un Dio buono e misericordioso? Risuonano pertanto dure le parole del sommo sacerdote Caifa durante il Sinedrio che delibererà la morte di Gesù: “Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione” (Gv 11,49-50). Si comprende pertanto il fatto raccontato al termine del Vangelo odierno, che annota che quei Giudei allora “raccolsero delle pietre, per gettarle su di lui”, mentre Gesù “si nascose e uscì dal tempio”. E noi sappiamo che fu solo una morte rimandata.



Lo spaesamento di Abramo.

Questi Giudei, che dialogano con Gesù senza ascoltarLo, sono segno di un immobilismo mortale, mentre si nascondono dietro gli schemi della loro identità religiosa: “Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno”; “Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?”. Rivendicano una appartenenza ad Abramo senza mettersi in gioco, senza compromettere la loro coscienza e soprattutto una adesione coerente alla spiritualità vivace e sincera di Abramo, che non era certo l’emblema dell’immobilismo. Di uno stile di vita statico e rigido. Proprio l’incontro con il Dio unico e creatore lo aveva infatti obbligato a mettersi in gioco, in movimento, rompendo tutti gli schemi della sua appartenenza religiosa. Come smosso radicalmente da una parola che si era sentito rivolgere personalmente da Dio: “Vattene dalla tua terra / dalla tua parentela / e dalla casa di tuo padre / verso la terra che io ti indicherò. / Farò di te una grande nazione / e ti benedirò” (Gen 12,1-2). Perché Abramo passa da una vita in cui avrebbe potuto tenersi ben stretto tutto ciò che aveva, a una vita che finisce per riporre ogni certezza nella promessa di una discendenza umanamente improbabile e che si sarebbe comunque realizzata in là nel tempo, oltre la sua esistenza e oltre l’esistenza di Sara sua moglie? Abramo non ha mezze misure: si mette in cammino e si fida. Come un innamorato ammaliato dal profumo della donna amata. Con la libertà di andare verso una terra promessa, dove il sogno si identifica con la realtà.



“Se rimanete nella mia parola”.

Gesù irrita i Suoi interlocutori perché chiede loro di passare dalla rigidezza della loro appartenenza religiosa a una relazione con Dio più liberante. Questo li sconvolge: “se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Come dicesse: dove vi potrete realizzare? Dove ancora sperimentare l’ebbrezza della libertà? Fidandovi di me. Come aveva detto alla Samaritana: fidati dell’acqua che io ti posso dare! Lasciati prendere dal soffio dello Spirito! In cosa consiste la nostra appartenenza religiosa? Una sorta di scaramanzia sul presente, con la quale difenderci dal mondo e dai suoi virus o una fiducia che ogni giorno si rinnova, rimettendoci continuamente in cammino, come Abramo? I Giudei che discutevano con Gesù giocavano in difesa, rimanendo impermeabili al nuovo. Sino a nascondersi in modo ossessivo dietro quel noi: “noi siamo discendenza di Abramo (…). Noi non siamo nati da prostituzione (…). Noi abbiamo Dio per Padre”. All’opposto di Abramo, uomo degli spazi aperti, dal cuore libero, dallo sguardo puntato al cielo: “Poi Dio lo condusse fuori e gli disse: ‘Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare’. E soggiunse: ‘Tale sarà la tua discendenza’” (Gn 15,5). Quelli barricati nel loro tempio e Abramo invece fuori, a guardare le stelle! Diventando così benedizione per la terra intera: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gn 12,3). E così Abramo, contemplando le stelle, giungerà a vedere Gesù: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia”.

don Walter Magni

portavoce dell’arcivescovo Delpini

Commento al Vangelo della III domenica di Quaresima di padre Ermes Ronchi


Un Dio fedele alle sue promesse, come nella prima lettura, non mi basta. Molti uomini lo sono: fedeli agli impegni, alla parola data, fedeli a se stessi. Ma la differenza biblica è un Dio fedele non solo alle sue promesse, ma alla sua intenzione di bene verso l’uomo, fedele ad una volontà d’amore, fedele ad un futuro buono: “Renderò i suoi figli numerosi come le stelle del cielo”.
Nel cuore di tutti gli altri noi cerchiamo un perché, nel cuore degli altri un perché della nostra vita. Tutte le creature del mondo, bambini, uomini, donne, ragazzi, mogli, genitori, figli, suore, frati, perfino gli animali e i fiori, nel cuore degli altri cercano un perché.
Nel cuore di Dio noi cerchiamo un perché.
Oggi ci aiuta Abramo, che ha cercato e trovato, Abramo: il padre nella fede.

Nel lungo conflitto riferito dal vangelo, Gesù dice ai giudei, ai credenti e ai praticanti, di allora e di ogni tempo: voi avete costruito un modello perfetto, ma non avete l’essenziale. C’è la religione, ci sono i codici, ci sono le parole, ci sono i riti, ma non c’è più Abramo! Non c’è più la fede!
Quale monito anche per noi: Io che ho tutta la cornice religiosa, ho davvero la sostanza, la fede?
Ho Dio per padre?

Una parola terribile di Gesù ai credenti (solo a quelli di allora?): voi avete per padre il diavolo, siete suoi figli. Inversione di paternità, terribile rischio per tutti. Avete adottato un altro padre, perché ne fate le opere. Che sono due: violenza (è l’omicida fin dal principio) e inganno (è il padre della menzogna).

Come evitare il rischio di essere figli del diavolo?
Ascoltiamo Gesù: Chi è da Dio ascolta la mia parola! Lo dice anche a noi. È il primo criterio. Ascoltare, riaprire l’ascolto quotidianamente, tenacemente, fiduciosamente.
Poi aggiunge: Voi non siete figli di Abramo perché non fate le opere di Abramo. Fare le opere di Abramo, secondo criterio per chi vuol essere da Dio. Mi sono chiesto quali sono. Ne ho trovate tre: l'opera della fede, l'opera della libertà e l'opera della speranza.

L'opera della fede: Abramo è pronto all'impossibile, a contare le stelle e a misurare la sabbia, lui che cammina per tutta la vita dietro a quelle tre promesse: “Avrai più figli che stelle, una terra di latte e miele e una benedizione”. Un figlio, una terra, una benedizione. E Abramo va’. Vecchio d'anni ma non vecchio di cuore e ama le promesse di Dio più ancora della loro realizzazione. Perché Dio è affidabile. E Abramo si affida.
Ciò che Dio promette è perfino eccessivo, incomprensibile, illogico, ma Dio è affidabile. E quando deve portare il figlio Isacco sul monte e lo lega e alza il coltello, ciò che sta facendo è incredibile, in quel momento Dio nega le promesse di Dio, Dio nega Dio, c’è da impazzire, ma Dio è affidabile. Lui troverà il modo, ed è un angelo che ferma il balenare del coltello.
In tutte le vite, in ciascuno di noi, Dio è affidabile.
La fede di Gesù ha una sigla identificativa: la parola Padre. Che ricorre per quattordici volte in questo brano, eppure anche questa parola è ambigua. Abbiamo sperimentato nella vita, in noi e attorno a noi, paternità non sempre felici, non sempre feconde. Dobbiamo andare oltre a ciò che questa immagine suscita, oltre la parola, al di là della metafora. Anche dire Padre è dire poco, è dire male, dire nel limite. Dio non è ciò che dico di Lui, è oltre tutte le parole e più ti avvicini a Lui più appare Altro.
Un Dio da cercare sempre, da inseguire. Esci dalla tua terra, come Abramo, da dove credi di possedere. L’errore dei Giudei è questo: pensano di possedere Dio e la verità: noi siamo, noi sappiamo, noi.... La verità non è un possesso, è un rispetto, sapere di non sapere ancora.

L’opera della speranza: “Abramo, vostro Padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno. Nella speranza non nella realizzazione. Abramo muore e della terra promessa ha ottenuto soltanto quanto basta a scavare due tombe, una per Sara e una per sé; dei figli come stelle, ne ha uno solo che ha rischiato di uccidere. Quasi niente, eppure conserva la fede. La speranza è, secondo una bella formula di Tommaso d’Aquino, la speranza è il presente del futuro. Abramo guarda il piccolo seme presente e vede la spiga futura. La speranza è una corda tesa verso il futuro, come il filo dei muratori, come la corda dei costruttori. La speranza è la virtù bambina, scrive Péguy, la più piccola delle tre sorelle, sta in mezzo, fede e carità la tengono per mano, ma non sono loro a portarla, in realtà è la piccola che tira avanti le altre due, è la speranza che trascina avanti la vita, corda tesa al futuro.

L’opera della libertà: è la parola più cara all’uomo ma anche la più ambigua e forse, insieme all’amore e alla verità, la parola più falsificata, più imbrattata della storia.
Abramo è il nomade che per letto ha la sabbia del deserto, sulla testa ha solo il cielo, e come recinto l’orizzonte. Libero di fare qualcosa che fino a un attimo prima era lontanissimo dalla sua intenzione, pronto a mettersi in viaggio verso una terra di cui non conosce il nome, che non sa dove sia, che per decidere dei pascoli dice a suo fratello Lot: scegli, se tu vai a destra io andrò a sinistra.
Più libero di Abramo è solo Gesù. Il fascino di Gesù uomo libero, che non si è mai fatto comprare da nessuno, accende trasalimenti in ognuno di noi, forse perché tutti soffriamo di imprigionamenti. Se ti fai lettore attento del Vangelo non puoi sfuggire all’incantamento per la libertà di Gesù. La libertà, non la fissità delle regole ma il vento che scompiglia le pagine e soffia via la polvere.
La libertà ha un segreto, il segreto è quel pezzo di Dio che è in te e che i veri maestri dello spirito ti invitano a scoprire e a liberare e ad adorare. Se sei fedele a questo pezzo di Dio in te sei libero dalla schiavitù degli altri, dalla schiavitù delle cose, dalle convenzioni, dai codici senza anima, dalle aspettative degli altri, dal giudizio, dalle immagini che gli altri hanno di te. Per te contano gli occhi del tuo Signore, conta un piccolo pezzo di Dio in te.
La libertà ha un segreto: il segreto è quel pezzo di Dio che è la nostra verità ultima. La verità vi farà liberi. Dio in noi guida le nostre mani alle tre opere, della fede, della speranza, della libertà. Allora saremo come Lui, perfetti come il Padre, fedeli all’intenzione di bene di Dio per il mondo.

Dice la Bibbia: in Abramo sono benedette tutte le genti. Di una benedizione che sul mondo distendono le tre opere di Abramo: l’opera della fede, l’opera della speranza, l’opera della libertà.
Un’antica benedizione discende da Abramo, attraversa millenni, arriva fino a noi, mi raggiunge, mi sfiora: In Abramo anch'io benedetto, nonostante tutte le mie ambiguità benedetto, in tutti i miei dubbi benedetto, nel mio amore incipiente benedetto, nella speranza bambina benedetto, nella libertà mai venduta benedetto. Benedetto da Dio, fonte di libere vite.

Invito alla preghiera

Signore, voglio essere tuo figlio.
Vorrei compiere solo l’opera della fede,
essere operatore di libertà e di speranza, come Abramo;
vorrei rimettere mano, come Mosé alla dura pietra del cuore;
come Gesù vorrei vivere amore e libertà.
Non per la mia piccola fede, ti prego,
ma per la fede di Abramo, di Mosé, di Gesù:
benedici questi tuoi figli.
E in Abramo, in cui hai benedetto tutte le genti,
benedici anche me:
anch’io benedetto, in tutte le mie ambiguità benedetto,
nelle mie povertà benedetto, in tutti i miei dubbi benedetto,
perfino nei giorni dei facili inganni benedetto da Te,
perché tu solo ci cambi il cuore
nella fede vigorosa,
nella libertà rischiosa,
nella speranza testarda
benedetto da Te,
che ami i tuoi figli senza condizioni,
che ci perdoni senza nessun rimpianto. Amen
(Ermes Ronchi)