13 dicembre 2013

Semplicità del Natale

Una meditazione da Gerusalemme del cardinale Carlo Maria Martini


Gerusalemme, dicembre 2006 

Il presepio è qualcosa di molto semplice, che tutti i bambini capiscono. È composto magari di molte figurine disparate, di diversa grandezza e misura: ma l’essenziale è che tutti in qualche modo tendono e guardano allo stesso punto, alla capanna dove Maria e Giuseppe, con il bue e l’asino, attendono la nascita di Gesù o lo adorano nei primi momenti dopo la sua nascita.

Come il presepio, tutto il mistero del Natale, della nascita di Gesù a Betlemme, è estremamente semplice, e per questo è accompagnato dalla povertà e dalla gioia. Non è facile spiegare razionalmente come le tre cose stiano insieme. Ma cerchiamo di provarci. 

Il mistero del Natale è certamente un mistero di povertà e di impoverimento: Cristo, da ricco che era, si fece povero per noi, per farsi simile a noi, per amore nostro e soprattutto per amore dei più poveri.

Tutto qui è povero, semplice e umile, e per questo non è difficile da comprendere per chi ha l’occhio della fede: la fede del bambino, a cui appartiene il Regno dei cieli. Come ha detto Gesù: «Se il tuo occhio è semplice anche il tuo corpo è tutto nella luce» (Mt 6, 22). La semplicità della fede illumina tutta la vita e ci fa accettare con docilità le grandi cose di Dio. La fede nasce dall’amore, è la nuova capacità di sguardo che viene dal sentirsi molto amati da Dio.

Il frutto di tutto ciò si ha nella parola dell’evangelista Giovanni nella sua prima lettera, quando descrive quella che è stata l’esperienza di Maria e di Giuseppe nel presepio: «Abbiamo veduto con i nostri occhi, abbiamo contemplato, toccato con le nostre mani il Verbo della vita, perché la vita si è fatta visibile». E tutto questo è avvenuto perché la nostra gioia sia perfetta. Tutto è dunque per la nostra gioia, per una gioia piena (cfr. 1Gv 1, 1-3). Questa gioia non era solo dei contemporanei di Gesù, ma è anche nostra: anche oggi questo Verbo della vita si rende visibile e tangibile nella nostra vita quotidiana, nel prossimo da amare, nella via della Croce, nella preghiera e nell’eucaristia, in particolare nell’eucaristia di Natale, e ci riempie di gioia. 

Povertà, semplicità, gioia: sono parole semplicissime, elementari, ma di cui abbiamo paura e quasi vergogna. Ci sembra che la gioia perfetta non vada bene, perché sono sempre tante le cose per cui preoccuparsi, sono tante le situazioni sbagliate, ingiuste. Come potremmo di fronte a ciò godere di vera gioia? Ma anche la semplicità non va bene, perché sono anche tante le cose di cui diffidare, le cose complicate, difficili da capire, sono tanti gli enigmi della vita: come potremmo di fronte a tutto ciò godere del dono della semplicità? E la povertà non è forse una condizione da combattere e da estirpare dalla terra? 

Ma gioia profonda non vuol dire non condividere il dolore per l’ingiustizia, per la fame del mondo, per le tante sofferenze delle persone. Vuol dire semplicemente fidarsi di Dio, sapere che Dio sa tutte queste cose, che ha cura di noi e che susciterà in noi e negli altri quei doni che la storia richiede. Ed è così che nasce lo spirito di povertà: nel fidarsi in tutto di Dio. In Lui noi possiamo godere di una gioia piena, perché abbiamo toccato il Verbo della vita che risana da ogni malattia, povertà, ingiustizia, morte.

Se tutto è in qualche modo così semplice, deve poter essere semplice anche il crederci. Sentiamo spesso dire oggi che credere è difficile in un mondo così, che la fede rischia di naufragare nel mare dell’indifferenza e del relativismo odierno o di essere emarginata dai grandi discorsi scientifici sull’uomo e sul cosmo. Non si può negare che può essere oggi più laborioso mostrare con argomenti razionali la possibilità di credere, in un mondo così.

Ma dobbiamo ricordare la parola di san Paolo: per credere bastano il cuore e la bocca. Quando il cuore, mosso dal tocco dello Spirito datoci in abbondanza (cfr. Rm 5, 5; Gv 3, 34), crede che Dio ha risuscitato dai morti Gesù e la bocca lo proclama, siamo salvi (cfr. Rm 10, 8-12). Tutte le complicazioni, tutti gli approfondimenti che talora ci confondono, tutto ciò che è stato sovrimposto attraverso il pensiero orientale e occidentale, attraverso la teologia e la filosofia, sono riflessioni buone, ma non ci devono far dimenticare che credere è in fondo un gesto semplice, un gesto del cuore che si butta e una parola che proclama: Gesù è risorto, Gesù è Signore! È un atto talmente semplice che non distingue fra dotti e ignoranti, tra persone che hanno compiuto un cammino di purificazione o che devono ancora compierlo. Il Signore è di tutti, è ricco di amore verso tutti coloro che lo invocano.


Giustamente noi cerchiamo di approfondire il mistero della fede, cerchiamo di leggerlo in tutte le pagine della Scrittura, lo abbiamo declinato lungo vie talora tortuose. 
Ma la fede, ripeto, è semplice, è un atto di abbandono, di fiducia, e dobbiamo ritrovare questa semplicità. Essa illumina tutte le cose e permette di affrontare la complessità della vita senza troppe preoccupazioni o paure.

Per credere non si richiede molto. Ci vuole il dono dello Spirito Santo che egli non fa mancare ai nostri cuori e da parte nostra occorre fare attenzione a pochi segni ben collocati. Guardiamo a ciò che successe accanto al sepolcro vuoto di Gesù: Maria Maddalena diceva con affanno e pianto: «Hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l’hanno posto». Pietro entra nel sepolcro, vede le bende e il sudario piegato in un luogo a parte e ancora non capisce. Capisce però l’altro discepolo, più intuitivo e semplice, quello che Gesù amava. Egli «vide e credette», riferisce il Vangelo, perché i piccoli segni presenti nel sepolcro fecero nascere in lui la certezza che il Signore era risorto. Non ha avuto bisogno di un trattato di teologia, non ha scritto migliaia di pagine sull’evento. Ha visto piccoli segni, piccoli come quelli del presepio, ma è stato sufficiente perché il suo cuore era già preparato a comprendere il mistero dell’amore infinito di Dio.

Talora noi siamo alla ricerca di segni complicati, e va anche bene. Ma può bastare poco per credere se il cuore è disponibile e se si dà ascolto allo Spirito che infonde fiducia e gioia nel credere, senso di soddisfazione e di pienezza. Se siamo così semplici e disponibili alla grazia, entriamo nel numero di coloro cui è donato di proclamare quelle verità essenziali che illuminano l’esistenza e ci permettono di toccare con mano il mistero manifestato dal Verbo fatto carne.

Sperimentiamo come la gioia perfetta è possibile anche in questo mondo, nonostante le sofferenze e i dolori di ogni giorno.

(Tratto dal n. 11 del 2006 del mesile “30 GIORNI”)