07 aprile 2017

Piccola bottega della Carità

Nella settimana dopo Pasqua prende il via la Piccola bottega della Carità.                                                                
Mentre ricordiamo che c’è  bisogno di nuove collaborazioni anche di giovani, offriamo a tutti gli Spunti dell’incontro formativo volontari Caritas
Atti degli Apostoli 4,32ss La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune... Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.
Quali “beni/doni” mettiamo a disposizione nel servizio di carità?
Anzitutto uno spazio nel cuore pronto ad accogliere, poi un po’ di tempo, l’ascolto paziente e amorevole, l’impegno di accompagnare per un tratto di cammino. Infine, insieme alla comunità cristiana, qualche cosa dei nostri beni anche materiali …
La circolarità dei doni messi in comune …
Io dono, tu doni, egli dona, noi doniamo, voi donate, essi donano: donare è il respiro dell’amore, è il respiro di Dio e dell’uomo! Donare fa bene a chi dona e a chi riceve. Ci aiuta a riconoscere che limiti, bisogni, e fragilità della vita sono esperienze di ognuno, delicate perché preziose: ci ricordano la nostra vera realtà di creature amate da Dio che è Padre, che si ricevono in dono da lui e che si realizzano nel donarsi.  Donare è contagioso, attrae altri nello stesso movimento “in uscita” quando è fatto con gioia.
Nella società odierna la cultura del dono è in controtendenza con quella dominante (individualismo autosufficiente) perché sottintende un’idea di uomo diversa (l’uomo che si fa da sé, che trova la sua forza nel non chiedere mai…, l’uomo che così diventa incapace di sostenere la fatica della relazione con l’altro…).
Facendo un servizio di carità noi diciamo (affermiamo!) la nostra idea di uomo e così non solo facciamo un po’ di volontariato, ma costruiamo cultura e testimonianza cristiana.
Compito della Caritas nella parrocchia è infatti anzitutto quello di tenere viva l’istanza della carità come della forma più alta nella quale si traduce la fede cristiana e l’idea di uomo e di mondo che da essa deriva. La sua missione principale è quella di animare la comunità cristiana e sollecitarla a vivere la carità in questo modo, sostenendo e coordinando i servizi che la fantasia dell’amore e le necessità degli uomini faranno sorgere (nb.: quanti nelle nostre parrocchie!).
In particolare segnalo il compito del Centro di Ascolto che con le persone in difficoltà avvia un percorso di accoglienza e discernimento sulla loro situazione complessiva, per individuare tra i modi possibili, quelli più efficaci a sostenerle (in relazione con Caritas decanale e diocesana e le istituzioni locali). La Piccola Bottega della Carità è una delle espressioni concrete di questo sostegno.
Quale stile ci è chiesto nel nostro servizio?
*Il nostro servizio parte dal cuore e perciò dalla preghiera per gli altri volontari  e preghiera per le persone che serviamo e le loro famiglie (è l’aiuto più efficace!).
*Rappresentiamo la comunità cristiana: occorre uno spirito di ‘squadra’.
L’aiuto più grande che noi offriamo non è quello materiale… ma la testimonianza di un modo di vivere che nasce dalla fede in Gesù, la vita fraterna e d’amore. Per questo se non offriamo questo segno nei rapporti tra noi riusciremo magari a sfamare la pancia delle persone in difficoltà ma non la fame del cuore…
Per questo motivo ‘teologico’ e non meramente organizzativo, ci è chiesta la disponibilità a lavorare in equipe, che richiede rispetto degli altri e dei loro compiti, cura nel far bene la mia parte per non appesantire il lavoro degli altri, chiarezza nei rapporti e nelle comunicazioni verso tutti, non fare il proprio gruppetto ma maturare un’apertura se-rena verso tutti, pazienza tutti i giorni e perdono reciproco quando serve …
*Amabilità verso le persone in difficoltà.
L’amabilità non si improvvisa, non è atteggiamento naturale ma è virtù: richiede esercizio, cura quotidiana di cu-ore, mente, parole e gesti. L’amabilità è il tratto visibile dell’intenzione d’amore invisibile che abita il cuore. Anche il dono d’amore più grande fatto da una persona ‘scostante’ non può essere gradito. Il gesto piccolo fatto con amabilità diventa grande al cuore dell’altro…
*Togliere da noi pregiudizi, cattivi pensieri e maldicenza su chi serviamo lasciando al Padre eterno di giudicare e al Centro di Ascolto di discernere…  ci è chiesta po-sitività: papa Francesco ci chiede di essere carezza di Dio per chi è nel bisogno.                      
Varie volte le persone in difficoltà giungono con atteggiamento pretenzioso e polemico. Certo chi ha più difficoltà ha più motivi per agire così… a noi cercare di placare gli animi con la gentilezza e il ragionamento. Attenzione ai toni e alle urla che diventano contro-testimonianza. Meglio passare per ingenui che averla vinta in una discussione… In altre sedi si potrà affrontare meglio la questione emersa (il Centro di Ascolto).
Se ci accorgiamo che non riusciamo a reggere le tensioni ricorrenti oppure a ‘lasciare a casa’ altri problemi che condizionano l’umore a tal punto da non poter offrire una presenza serena e gentile… è meglio staccare per un po’, o dedicarsi ad altro servizio nella comunità…
*L’amabilità offre la condizione per accompagnare con rispetto le persone e le loro situazioni problematiche in spirito educativo non facendo da maestri o padroni ma fratelli che sostengono i piccoli passi verso il meglio dell’altro.
*Amabilità significa anche custodire uno stile di riservatezza nel parlare delle persone e delle loro situazioni o anche delle situazioni faticose che possono crearsi talvolta tra i volontari. Nel primo caso per il rispetto doveroso della dignità di ciascuno. Nel secondo caso non certo per non affrontare i problemi, ma per farlo nel modo giusto: nella trasparenza e franchezza che ci deve contraddistinguere come cristiani. Non dimentichiamo che anche così si da testimonianza non tanto al buon nome della Caritas o della parrocchia, ma della Chiesa (con la C maiuscola) e della nostra fede.
*Infine amabilità è anche il rispetto delle diversità culturali e religiose degli altri. Chiaro che non può svolgere il servizio di volontariato in parrocchia chi ha atteggiamenti razzisti e disprezzanti culture e fedi differenti. Ma si manca di rispetto anche irridendo (speriamo bonariamente) usi e costumi anche in campo alimentare o vestiario. Pensiamo ad esempio alla cura dei musulmani di cibi che non contengano carne di maiale o macellata in modo diverso dai dettami religiosi dei loro paesi, oppure al velo delle donne islamiche. Per non parlare della incoerenze nelle pratiche religiose (che purtroppo viviamo anche noi). Anche così offriamo una testimonianza del nostro credo.