07 aprile 2018

Gesù è risorto. E ora?

Ora passata la festa … si torna alla vita di prima”. Finalmente i figli tornano a scuola, il tram riprende l’orario fitto feriale, diamo l’arrivederci a Natale agli auguri mal sopportati ai parenti antipatici: insomma torniamo a noi, alla nostra vita.

E invece no, non possiamo tornare a “le cose di prima: sono passate! Ne sono nate di nuove. Alleluia.” Ora ci è chiesto: andate e annunciate! Mi fermo al primo dei due verbi.

Andate è detto al plurale. Sottintende insieme. Perché l’an-nuncio cristiano, anche in questo tempo di esasperato individualismo narcisista, è affidato alla comunità dei discepoli e in essa ognuno per la sua parte.

Non è una moda passeggera o strategia di marketing, insieme fa parte del contenuto ed è condizione di credibilità del messaggio d’amore evangelico, come ricordano i primi capitoli degli Atti degli Apostoli.

Insieme è traduzione quotidiana di SINODO che papa Francesco e l’arcivescovo Mario, raccogliendo la migliore tradizione della storia della Chiesa e del Concilio Vaticano II, propongono con entusiasmo e decisione.

Andate richiama pure la dinamicità che dovrebbe contraddistinguerci nella vita di fede, speranza e carità. Scrivo ‘dovrebbe’ perché molte zavorre opprimenti cercano di toglierci la scioltezza dell’amore. Quella per esempio che si esprime nei detti: “chi fa per sé fa per tre”, “si è sempre fatto così”, “tanto non cambia niente”, “a che pro?” …

A questa dinamicità mi ha richiamato uno scritto di Erri De Luca che un giovane papà mi ha dato negli auguri pasquali. Credo possa aiutare tutti a farci qualche domanda in più sul dono della Pasqua.

Pasqua è voce del verbo ebraico “pèsah”, passare. Non è festa per residenti, ma per migratori che si affrettano al viaggio. Da non credente vedo le persone di fede così, non impiantate in un centro della loro certezza ma continuamente in movimento sulle piste. Chi crede è in cerca di un rinnovo quotidiano dell’energia di credere, scruta perciò ogni segno di presenza. Chi crede, insegue, perseguita il creatore costringendolo a manifestarsi.

Perciò vedo chi crede come uno che sta sempre su un suo “pèsah”, passaggio. Mentre con generosità si attribuisce al non credente un suo cammino di ricerca, è piuttosto vero che il non credente è chi non parte mai, chi non s’azzarda nell’altrove assetato del credente. Ogni volta che è Pasqua, urto contro la doppia notizia delle scritture sacre, l’uscita d’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra Gerusalemme.

Sono due scatti verso l’ignoto. Il primo è un tuffo nel deserto per agguantare un'altra terra e una nuova libertà. Il secondo è il salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa, verso la più integrale resurrezione.
Pasqua/pèsah è sbaraglio prescritto, unico azzardo sicuro perché affidato alla perfetta fede di giungere.

Inciampo e resto fermo, il Sinai e il Golgota non sono scalabili da uno come me, che pure in vita sua ha salito e sale cime celebri e immense. Restano inaccessibili le alture della fede.
Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri a ogni costo, atleti della parola pace.

Quanta stima ha Erri De Luca per i cristiani. Ma… sono io, sei tu, siamo noi così?

don Alfredo