26 settembre 2018

Mi sono lasciato provocare dalla Parola


Dalla prima lettera di San Pietro apostolo

Carissimi, avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti an-che voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge in-fatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso». Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono «la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo».


Leggendo queste righe della prima lettera di San Pietro non può non venire in mente quella che la nostra comunità sta vivendo: la costruzione del nuovo oratorio di S. Barnaba. Mi sono lasciato provocare dalla Parola che illumina il cammino e il frutto sono queste riflessioni un po’ acerbe, pensando anche a questo nuovo anno pastorale che inizia a partire dal binomio “demolire e costruire” per discernere quali attenzioni avere per edificare, attorno ad un oratorio di “mattoni”, anche una comunità di pietre vive.

“…avvicinadovi a lui, quali pietre vive siete costruiti…”.
Questa parole mi ha fatto venire in mente un passaggio dell’Evangeli Gaudium (EG) di Papa Francesco: “Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti”. (EG n. 87). Mi ha colpito che il Papa utilizzi l’aggettivo “mistica” per parlare di una “marea un po’ caotica”, quando con questo termine (anche noi sacerdoti) siamo stati abituati a pensare a qualche esperienza altisonante e un po’ straordinaria, non data a tutti di vivere. Ma andando a cercare ancora questo temine al’interno dell’enciclica, al n. 92 troviamo scritto: “Lì sta la vera guarigione, dal momento che il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio”. (EG n. 92). Che respiro queste parole del Papa: una fraternità mistica, contemplativa, primo forma di prevenzione per non farci ammalare, in cui non ci è chiesto di fare qualcosa, ma di tenere vivo uno sguardo. Questo dello sguardo è una cifra spirituale su cui, come comunità pastorale, abbiamo riflettuto tanto negli anni scorsi e, alla vigilia di un nuovo oratorio, è sempre dallo sguardo che forse ci viene chiesto di ri-partire, più che prima, non dimenticando che prima di contemplare il fratello, abbiamo bisogno di lasciarci contemplare dallo stesso sguardo del Signore: “Abbi-amo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’a-more che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: «Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi”! (EG n. 264). Come ci invita l’apostolo Pietro, il primo passo per costruire un edificio spirituale è quello di avvicinarci al Signore e lasciarci contemplare da lui, stare sotto il suo sguardo e avvertire quell’amore che continuamente ripone in noi e ci da la forza, il coraggio e l’entusiasmo di essere pietre vive, di voler realmente costruire una comunità secondo il suo cuore. Abbiamo anzitutto bisogno di lasciarci guardare da lui per evitare che siano anzitutto i “punti di vista” di ognuno di noi a prendere il sopravvento, a imporsi, a pretendere di costruire il volto di una comunità. Abbiamo anzitutto bisogno di lasciarci contemplare da lui per vincere la tentazione, non appena l’oratorio sia pronto, di ricadere in una riorganizzazione pastorale frenetica, ansiosa, perdendo il senso di quello che proponiamo e lasciandoci prendere da un senso di riscatto e forse anche di rivendicazione. Ripartiamo ancora dal metterci sotto i suoi occhi mentre ci offre la Parola e spezza il Pane con noi, in modo che la nostra comunità sia riflesso nel mondo di questo sguardo.

“pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio”. 
 Questo altro passaggio richiama il salmo 117, anch’esso citato nella lettera: “la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo; ecco l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi”. Ci sono voluti anni e riunioni su riunioni per giungere al progetto definitivo del nuovo oratorio. Questo perché il desiderio di fondo era di costruire qualcosa di bello. Nessun costruttore si mette all’opera per creare una brutta opera. E proprio per questo allora, trovandosi davanti alle pietre: alcune belle e quadrate, altre spigolose, altre troppo piccole, altre tagliate male, il bravo costruttore decide di scartarne alcune e di tenerne altre. Chi sarebbe così pazzo da prendere una pietra difettosa per farne addirittura una testata d’angolo? Quanto detto fin qui ha una sua ragionevolezza se si parla di un edificio concreto: meglio usare i miglior prodotti per accertarsi che la costruzione sia ben fatta e non crolli. Per costruire invece una comunità di pietre vive, dovremmo imparare dal Signore che si serve degli scarti degli uomini per compiere la sua opera. Lui riesce a trovare un posto per tutti, qualunque sia la forma e la grandezza della pietra. Noi spesso, in nome della efficienza, del correre, della prestazione, della gloria davanti agli uomini, non ci rendiamo conto che alcune pietre, magari anche indi-rettamente, le scartiamo. E lo facciamo quando escludiamo, quando facciamo capire che non c’è bisogno di una persona che vuole dare una mano perché bastiamo noi; quando ci sono persone che rallentano il passo e diventano un peso per cui le ignoriamo, quando qualcuno, senza volerlo, invade il nostro territorio e diviene non un fratello, ma un avversario con cui competere, quando… quando… quando… Dio creatore, ancora oggi, continua a costruire senza generare gli scarti e ci invita fare lo stesso, ricordando l’ammonimento che Papa Francesco rivolge al popolo di Dio di non alimentare la cultura dello scarto, per cui i più poveri, i più fragili vengono dimenticati, messi da parte, per cui non c’è posto per loro nella costruzione della comunità, non sono ritenute pietre vive, ma da scartare. Eppure il Signore, con gli scarti degli uomini, compie meraviglie davanti ai nostri occhi.

“e chi crede in essa non resterà deluso”.
La pietra scartata può anche voler dire che ogni persona ha degli aspetti positivi che vuole sviluppare e aspetti negativi che cerca di nascondere, modificare, oppure eliminare. E il Signore compie un’altra mera-viglia, una rivoluzione. Il Signore non usa gli scarti con un atteggiamento pietistico (poverino), ma ci chiama ad essere noi stessi, valorizzandoci in quello che noi siamo abituati a svalutare. Sembra che il Signore si diverta a chiamarci a compiere le sue meraviglie, ma non puntando sui nostri talenti o virtù, ma servendosi dei nostri difetti, dei nostri limiti. Ricordando le parole di un proverbio sembra che il Signore si diverta a mettere il dito nella piaga e invece lui è capace di trasformare le nostre ferite in feritoie da cui far passare la Luce. La Bibbia è piena di questo modo di fare di Dio: Abramo è chiamato a generare una grande discendenza; ma Abramo è vecchio ed è sposato con una donna sterile. Dio chiama Mosè a essere il suo portavoce; ma Mosè è impacciato di bocca e di lingua. Lo stesso Gesù, il Messia di Nazaret, città della Galilea, da cui però secondo le scritture “non sorge nessun profeta”. Questo pedagogia di Dio ci sconvolge, è un modo di pensare che è lontano dalla sapienza di questo mondo, che facciamo fatica ad accettare talmente siamo tartassati da alcune parole che invocano tensione alla perfezione e capacità alta di prestazione. Eppure chi crede in lui, anche se è convinto di non essere all’altezza, magari pensa di poter offrire poco per la propria comunità, non resterà deluso, perché il Signore chiama anche ognuno di noi per costruire le sue meraviglie, per costruire la nostra comunità. Nessuno si senta scartato.

don Mauro