11 novembre 2018

“Responsabilità e prospettive”

Si è concluso il Sinodo Minore.

“Responsabilità e prospettive”

Duomo di Milano – 3 novembre 2018 
Omelia dell’Arcivescovo Mario Delpini.

Un solo corpo e un solo spirito, perché chiamati alla speranza. (Ef 4,4)

1. L’esortazione velleitaria? Da dove viene ciò che ci unisce? Paolo esorta a conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Il sogno di un solo corpo, un solo spirito è un sogno velleitario? Che cosa tiene uniti i molti? Alcuni pensano che il popolo si mantenga unito per via dell’uniformità: si parla la stessa lingua, si condivide la stessa storia, di è nati nello stesso paese, si è cresciuti sotto lo stesso campanile. Dunque siamo una cosa sola. Forse sarà più facile, ma non è garantito; forse sarà spontaneo, ma è un procedere secondo la carne, non secondo lo spirito; forse troverà nella storia più di una conferma, ma certo troverà anche smentite. In ogni caso non l’unità costruita sull'uniformità è per forza di cose selettiva fino alla crudeltà, chiusa fino all'implosione e al collasso, noiosa fino all'insofferenza, e del resto impossibile. Altri pensano che il popolo si mantenga unito per via della buona volontà: come se si insistesse: “Impegnative e ce la farete; praticate degli esercizi di umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell'amore e vedrete consolidarsi la vostra unità. Ci vogliono buona volontà e costanza e si può fare tutto e conseguire ogni risultato desiderato”. L’impegno e la buona volontà sono certo una via da raccomandare, ma il tempo consuma e logora, le buone intenzioni presto sfumano, la fatica esaspera e stanca, le frustrazioni dei risultati deludenti insidiano tutti i buoni propositi. Altri pensano che il popolo si mantenga unito per via di un esercizio rigoroso dell’autorità che propone una buona normativa e pretende una rigorosa attuazione. Il ministero e il magistero di san Carlo inducono a non sottovalutare l’importanza della attività normativa del Vescovo. Le direttive chiare, le procedure praticabili, le verifiche puntuali, i richiami precisi ed eventualmente le sanzioni proporzionate: ecco ciò che costruisce l’unità. Certo una più abituale disciplina e una concordia più cordiale sono fattori che possono contribuire a dare consistenza all'identità di un popolo e a tenerlo unito, ma le insidie del formalismo, della cura per la facciata ineccepibile che lascia crescere nell'interiorità la distanza e il dissenso, dell’agire perché spinti da dietro rendono improbabile quella comunione che è impossibile se non è sostenuta da intima persuasione e animata da ardente passione.

Che cosa allora può radunare i molti perché siano una cosa sola? Come pensare che le genti si raccolgano nell'unica Chiesa, non solo nel condividere la fede, i sacramenti, i comandamenti, ma per diventare un solo corpo e un solo spirito?

2. Convocati dalla speranza.
Non il passato può bastare alla unità dello spirito; non l’impegno organizzativo, ascetico istituzionale del presente. Paolo parla di una unità che si configura per la condivisione della vocazione alla speranza: Una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati. Chiamati alla medesima speranza, noi diventiamo solo corpo e un solo spirito. La nostra è una comunione al futuro; siamo un popolo che si mette in cammino perché fa credito alla promessa; condividiamo lo slancio e l’ardore, la pazienza e la tenacia perché la promessa di Dio ci ha fatto ardere il cuore, ci ha convinti ad alzare lo sguardo, ci ha reso consapevoli che è tempo ed è possibile uscire dalla ripetizione stanza, dalla rinuncia preventiva a mettere mano all'impresa per una paralisi geriatrica. Dio ci ha chiamati alla speranza, e noi sulla speranza costruiamo la nostra comunione al futuro.

Come potrà essere la “comunione al futuro”?

La comunione al futuro prende vita dalla convocazione, dalla commozione per ciò che il buon pastore ha fatto per noi: conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me … e io do la vita per le mie pecore. Ecco la vocazione alla speranza non è una proclamazione di un sogno, di una retorica del progresso. È la vita donata di Gesù, è lo Spirito infuso dalla sua Pasqua e che spinge come un vento amico, che rende ardenti come un fuoco vivo, che offre sollievo come l’acqua viva nell'aridità del deserto. Tutto è grazia. Siamo stati amati fino al sacrificio della vita del buon pastore, per convincerci a fidarci della promessa.

La comunione al futuro si racconta come un cammino. Non si tratta in primo luogo di attuare una normativa, né di dare vita e nuove strutture e istituzioni. Si tratta piuttosto di alzare lo sguardo sulla Sposa dell’Agnello per appassionarsi all'audacia di un cammino che tenta le strade, che non chiede ricette ma intelligenza, creatività, desiderio; l’audacia di un cammino che non è intralciata dalla paura del nuovo, dalla paura dell’altro, dalla paura di ciò che mette in discussione le abitudini consolidate e anacronistiche; l’audacia del cammino, che non è l’azzardo dell’arbitrario, non è l’esibizionismo della stranezza, non è il protagonismo del singolo che pretende di essere profetico solo perché squalifica il lavoro degli altri. Il cammino è cammino di popolo e conferma nella procedura sinodale il metodo per un discernimento che definisca i passi da compiere. San Carlo ha individuato nella forma sinodale coerente con i suoi tempi una procedura necessaria per la riforma della Chiesa. Noi, con tanta modestia e senso di inadeguatezza ancora lo invochiamo come intercessore e cerchiamo di ispirarci a lui come modello.

La comunione al futuro è un esercizio di virtù presenti. Le indicazioni di Paolo agli Efesini raccomandano lo stile dell’amorevolezza che ha cura dei rapporti, che interpreta i molti doni come tutti relativi all'edificazione: cerca la comunione più dell’efficienza, irradia la gioia per la speranza piuttosto che il malumore per il disagio del cambiamento, guarda ai popoli portatori di futuro con stima e incoraggiamento invece che consentire il diffondersi della paura e lasciarsi tentare dalla meschinità dell’arroccamento.

L’aggregazione motivata dalla nostalgia è sterile, l’aggregazione consolidata dalla paura è conflittuale, l’aggregazione forzata dalla normativa è artificiosa.

Noi siamo il popolo radunato dalla speranza, convinto dalla fede nelle promesse di Dio, animato dal dono dello Spirito Santo.

San Carlo nostro patrono, con sant'Ambrogio nostro padre, con san Paolo VI, pastore lungimirante con tutti i santi milanesi, vescovi e sposi, preti e consacrati, noti e sconosciuti ci stiano vicini come amici e modelli.