08 gennaio 2019

RIPRENDIAMO IL PERCORSO PASTORALE

… invito alla riflessione e al confronto.




Carissimi, l’Epifania di Gesù a tutte le genti ci sprona a continuare il percorso di discernimento pastorale che abbiamo avviato da settembre e che ha avuto un momento particolarmente intenso nella prima domenica di Avvento. Con l’intento di riprendere nei vari gruppi le riflessioni che emergono dalla ‘provocazione’ che ci ha regalato Luca Moscatelli, biblista della nostra diocesi, offriamo a tutti la trascrizione della registrazione del suo intervento. Buona lettura. d.Alfredo



Come stare nella storia da discepoli
in attesa del ritorno del Maestro

Sei uscite necessarie da schemi che mortificano il vangelo 


Dal Vangelo secondo Matteo (24,1-14)

1 Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. 2 Egli disse loro: "Non ve-dete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sa-rà lasciata qui pietra su pietra che non sarà di-strutta".

3 Al monte degli Ulivi poi, sedutosi, i discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: "Di' a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo".

4 Gesù rispose loro: "Badate che nessuno vi inganni! 5 Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: "Io sono il Cristo", e trarranno molti in inganno. 6 E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. 7 Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori. 9 Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10 Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. 11 Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12 per il dilagare dell'iniquità, si raffredderà l'amore di molti. 13 Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. 14 Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, per-ché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine.

Introduzione: la sindrome del canarino
Vi suggerisco alcune riflessioni a partire dal brano evangelico di Matteo 24 perché a me pare che Gesù ci parli di sei uscite. Gesù ci invita ad uscire per 6 volte su aspetti differenti. Prendo spunto da queste parole di Matteo per de-scrivere una situazione che cerco di farvi capire con una immagine, quella del canarino. Noi siamo come dei canarini e dunque anche noi vivi-amo la sindrome del canarino e cioè quando apri la gabbia il canarino si spaventa e non vuole uscire, perché sta bene lì in gabbia dove è nato. Anche noi siamo nati in gabbia, siamo animali super domesticati, non abbiamo più nulla di selvatico. Il Papa in questi anni sta sollecitando il popolo di Dio a “uscire” e apre la porta della gabbia, ma tutti i canarini si ritraggono e non vogliono uscire perché hanno paura. La gabbia è vero ci rassicura, ma è stretta, talvolta anche brutta e siamo fatti per ben altro.

Stare nella storia da discepoli in attesa del ritorno del maestro non è un compito statico, anche se il verbo “stare” richiama questa idea. Nella storia non si può stare fermi, perché si muove tutto e noi ce ne accorgiamo bene, dal momento che la frenesia che noi viviamo è dovuto al fatto che tutto attorno a noi si muove e anche velocemente, al punto che in alcuni momenti abbiamo bisogno di fermare il nostro treno della vita e di scendere, perché non abbiamo più voglia di correre continuamente. Tuttavia, come diceva mio nonno, le uniche cose che stanno ferme nella vita sono i sassi e i morti. Vogliamo fare i sassi? Vogliamo fare i morti? Fintanto siamo vivi, ci dobbiamo muovere e anche se noi non lo vogliamo è il movimento degli altri che ci trascina. Il problema è se vogliamo essere trascinati dentro questo flusso della storia, oppure starci da persone responsabili che decidono però come muo-versi, dove andare, con chi andare.

Al n. 11 di Evangeli Gaudium il Papa scrive: “ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre nuova”. Il Vangelo è sempre quello, ma la rilettura del van-gelo è sempre qualcosa di nuovo, perché accade in un momento e in luogo in cui non ha un precedente e non avrà un seguente: è unico e nuovo. Noi dob-biamo lottare contro una zavorra che ci induce a pensare che le cose nuove sono spaventose, meglio stare tra le cose conosciute, preferibilmente conosciute da sempre, che è una illusione, perché le co-se nella storia, non sono state sempre così come le abbiamo conosciute. Siamo nella storia che è in continuo movimento, per cui la cosa deve essere vera per noi oggi e qui. Quindi se per noi oggi e qui è vera, non può che essere nuova, perché qui non è come in un altro posto e oggi non è come ieri.

Nel libro di Isaia si racconta di una gioia che nasce da una cosa nuova, che non si è mai vista prima. È possibile gustare questa gioia solo se siamo disponibili disposto a uscire dalla gabbia, per percorrere una strada che nessuno ha ancora calpestato e addomesticato. Vedere cose nuove, spazi nuovi e questo dà gioia. Per cui dobbiamo capire cosa decidi-amo essere gioioso per la nostra vita, perché ci sono diversi modo di intendere la gioia. La gioia è la tranquillità? È impossibile! Quando vivi la vera gioia, essa ti spinge a uscire, ad andare, a muoverti, non riesci a stare fermo.

Il contesto.
Il capitolo 24 fa parte dell’ultimo discorso del Vangelo secondo Matteo. Sono in totale 5 i discorsi che l’evangelista riporta nel suo scritto. Il primo discorso è quello denominato “della Montagna” che inizia con la bella pagina delle Beatitudini. Beati significa proprio felici, essere gioiosi.

Il secondo discorso è quello “missionario”: Andate! È interessante che questo discorso precede quello sulla chiesa. Aveva ragione il card. Martini, il quale leggendo gli Atti degli Apostoli, affermava che pri-ma avviene la missione che nel suo svolgersi fa e costituisce la chiesa. La prima chiesa pienamente chiesa, secondo le intenzioni di Gesù, non è Gerusalemme, ma Antiochia, perché è la prima chiesa che invia missionari. È la missione che fa la chiesa, il muoversi, l’essere inviati, la sollecitudine dell’an-nuncio fa la chiesa.

Ma annunciare cosa? A questa domanda risponde il terzo discorso di Matteo, quello “delle parabole del Regno”. Si annuncia il Regno di Dio, il quale è l’u-nico in cui non ci sono sudditi, perché sono tutti figli e figlie del Padre e dunque sono principi e principesse. Gesù infatti nella sua vita guardava il più scalcinato del mondo e gli diceva: “Tu sei il figlio del Re, tu sei un principe”, suscitando in chi lo ascoltava molta perplessità. Fino a quando qualcuno di questi poveri, di questi “scartati” della società iniziava a dirsi, a chiedersi: “Ma davvero Dio mi vede così? Davvero per Dio io sono un principe”.

Dopo questi primi tre discorsi si può parlare della chiesa (al capitolo 18) e la narrazione inizia raccontando che alcuni discepoli chiedono a Gesù chi sarà il più grande nel Regno di Dio. Questa domanda testimonia che nella chiesa qualcuno non si accontenta di essere principe o principessa, ma vuole am-bire a diventare più grande ancora, forse anche padre. Davanti a questa smania di grandezza, Gesù prende un piccolo lo pone in mezzo, ribadendo che chi è così è il più grande. Quindi la chiesa nasce inevitabilmente dal perdono, dalla riconciliazione degli uni con gli altri, perché siamo figli dell’unico Padre e la sua volontà è che nessuno si perda. Non si deve perdere nessuno. E se succede, occorre andare a cercarlo; se uno si allontana: bisogna cercare di ri-cucire la relazione; se non vuole sentire ragione, al-meno una cosa è possibile farla: pregare per lui. E se proprio non c’è alcuna possibilità sia per noi co-me un pagano e un pubblicano, che significa che sia per noi terra di missione. Non è mai finita, mai si deve perdere nessuno. Finché ci sarà uno sulla terra che ha delle ragioni per sentirsi abbandonato da Padre, perché non è contento della sua vita, nessuno di noi potrà dormire tranquillamente, perché c’è al-meno quel uno che, siccome non è stato liberato dal male, è insidiato dalla tentazione di pensare che Dio non è affatto un Padre, ma si cura di alcuni e non di altri. Ma questo non è il vangelo.

Perché Matteo scrive il quinto discorso? Per rispondere alla domanda di come il discepolo debba rima-nere da figli del Re nel corso della storia.

Nel capitolo 23 si racconta che Gesù se la prende con i capi della religione i quali si siedono sulla cattedra di Mosè, parlano a nome di Mosè, ma poi tut-to quello che fanno, lo fanno per farsi vedere. Gesù invita i suoi a non farsi chiamare né padre, né maestri o guide, perché uno solo è il Padre e noi siamo tutti figli. Gesù si scatena contro i capi e proclama i 7 famosi “Guai” (Guai a voi scribi e farisei ipocriti...). La religione, da sempre è a rischio di ipocrisia, a rischio di voler far vedere agli altri quello che non c’è o quello che non è... Ma il discepolo è chiamato a far vedere la bellezza di Gesù e non la propria ed è questa la testimonianza: rimandare a Gesù e non a se stessi.

Dopo essersi scagliato contro gli scribi e i farisei il vangelo racconta che Gesù arriva al tempio, compie un gesto di purificazione del tempio e poi tutte le categorie del potere religioso di allora si interfacciano con lui per discutere: anziani, scribi e farisei, sacerdoti, sadducei... Tutti i gruppi di potere che giravano attorno e dentro il tempio di Gerusalemme hanno cercato di cogliere in fallo Gesù e tutti, dopo un confronto serrato, ne uscivano “con le orecchie basse”, covando una grande rabbia dentro di se, fino a quando si sono messi tutti d’accordo e hanno deciso di ucciderlo. Proprio mentre Gesù era a Gerusalemme in quei giorni fa il discorso che abbiamo preso in considerazione.

Prima uscita
Il capitolo 24 inizia narrando: “Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava…” e da quel momento non si racconterà più che Gesù rientra nel tempio. Mentre Gesù esce, si avvicinano i suoi discepoli per fargli ammirare le belle pietre del tempio, come se volessero dire al loro maestro: “Gesù, ma perché ce ne andiamo? Siamo arrivati fino a qui? Ora il tempio ce lo prendiamo noi, tanto a te non costa nulla… Guarda che pietre! Che bello!”. La risposata di Gesù è secca: “Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta”. Questa è la prima uscita: le chiese possono diventare delle gabbie. C’è infatti una grandezza e una meraviglia del tempio che può affascinare, può far perdere di vista l’essenziale. Il pericolo è quello dello sistema sacrale, che è un sistema di potere, di dominio. In nome di Dio ci si sente autorizzati a decidere chi verrà o non verrà salvato, chi va bene e chi non va bene. Questo sistema ha i suoi capi, ha la sua dottrina. Questo primo abbandono (prima uscita) è necessario per Gesù, perché c’è una deriva molto forte. Infatti questo sistema è destinato a implodere, a crollare. Occorre uscire anche semplicemente per non rimanere sot-to le macerie del crollo.

Questo è un passo enorme perché Gesù è il figlio di Dio e sino a quel momento il tempio di Gerusalemme era considerato la casa di Dio. E’ come se Gesù dicesse: “qui nel tempio non ho mica trovato il Padre. Qui non c’è, bisogna cercarlo altrove”. Gesù è venuto fino al tempio, cuore della religione di Israele e ha tentato di purificarlo per portare la sua buona notizia e cosa è successo? I capi della religione di Israele lo hanno ucciso.

Siamo chiamati a uscire dal tempio perché dobbiamo smettere di dire il vangelo partendo da noi stessi, guardando noi stessi. Noi non sappiamo più bene chi siamo o cosa vogliamo essere. Abbiamo bi-sogno di guardare gli altri, dobbiamo cercare delle risposte e delle indicazioni fuori di noi. Dobbiamo cercare i beati e i benedetti di Dio dentro la storia e che sono per noi dei vangeli viventi. Per ritrovare la gioia del vangelo, abbiamo bisogno di trovarne la sua concretizzazione reale nella storia, ma per fare questo dobbiamo uscire dal tempio.

Seconda uscita
“Di' a noi quando accadranno queste cose”. I discepoli, dopo aver appreso che il tempio crollerà, chiedono a Gesù di dire solamente a loro almeno quando capiterà tutto questo. Rivendicano dei privilegi. Almeno, a differenza di tutti gli altri, è possibile sa-pere quando accadrà questo crollo. I discepoli pen-sano di aver diritto a questo vantaggio: di sapere una cosa che gli altri non possono sapere ed eventualmente la potranno sapere solamente se noi decideremo di riferirgliela, ponendo ovviamente delle condizioni. Invece Gesù più avanti farà un discorso in cui esprimerà la volontà che tutti sappiano. Lui ha costituito i 12 perché vadano da tutti a dire che Dio vuole la salvezza di tutti e perché essi gli volete be-ne, dal momento che sono fratelli e sorelle, figli di un solo padre. Qui si tratta di uscire da un sistema di privilegi e il sistema da abbandonare è quello gerarchico, se-condo il quale c’è chi ha più diritto di sapere e chi meno, chi vale di più e chi poco o addirittura niente. Ognuno è chiamato a dare tutto, senza tenersi da parte niente. Come diceva Santa Teresa di Lisiuex nella strana contabilità di Dio, più dai qualcosa, più dai via tutto, più guadagni. La molla è la gratitudine e la gratitudine è un moltiplicatore enorme. Di esse-re grati e di volersi bene non si finisce mai.

Terza uscita
“…quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo”. I discepoli fanno coincidere il ritorno del Signore, che si chiama parusia, con la fine del mondo e questo loro modo di pensare conferma che essi non hanno capito proprio nulla del vangelo. Quando il Signore tornerà il mondo non troverà la sua fine, ma il suo compimento che è una cosa di-versa. Il problema è che in greco per dire fine e compimento si utilizza il medesimo termine: telos. Il telos è la fine o il fine? Il telos a cui Dio porta la sto-ria è il suo giudizio di chi “fa piazza pulita” oppure è la sua azione di salvare questo mondo.

Che cosa desideriamo noi come discepoli? Questa è la vera domanda che dobbiamo porci. Dio Padre poi farà quello che vuole alla fine e farà sicuramente la cosa migliore, ma il problema è nostro: con quali sentimenti accompagniamo l’attesa del ritorno di Gesù? Sentimenti di vendetta e di rivincita o sen-timenti di amore? Abbiamo la passione per questo mondo per cui speriamo in un Gesù che torni e ven-ga a salvare tutti oppure detestiamo a tal punto questo mondo da pregare Gesù che torni per fare una strage?

Ci sono in mezzo a noi, che ci diciamo discepoli, persone che sono proprio dei fan dell’”inferno”. In teoria di fronte all’ipotesi della inesistenza dell’inferno un vero discepolo del Signore dovrebbe avere un sussulto di gioia nel Signore, perché allora avrebbe la certezza di sentirsi salvato nella gratuità. In-vece alcuni credenti di fronte a tale ipotesi, si intristiscono e si arrabbiano: “E No! E allora tutta la fatica che ho fatto per essere un buon cristiano?”. Ma chi tra noi si sente così sicuro di ritenersi degno di entrare nella vita eterna?

E’ solo per misericordia che accederemo al compi-mento bello di questo mondo. Per cui siamo invitati veramente ad ascoltare quello che proviamo nel nostro cuore. Ascoltando queste parole ci viene un entusiasmo diabolico o la gioia secondo lo Spirito di Dio che si chiama difensore? Vogliamo difendere la vita degli altri o proviamo gusto ad accusarla? Ricordo che l’accusatore è Satana, il difensore è lo Spirito di Dio. Dunque occorre uscire dalla sindrome della fine del mondo che è una vera perversione non solo psicologica, ma anche teologica e occorre molto tempo, perché chiede di abbandonare lo schema apocalittico che è sempre una schema vendicativo: aspettiamo la fine della storia per vedere finalmente la vendetta sui nostri nemici e sperare che la paghino fino in fondo.

Quarta uscita
“Badate che nessuno vi inganni! Molti infatti ver-ranno nel mio nome, dicendo: «Io sono il Cristo», e trarranno molti in inganno”. Nel sistema sacrale c’è in agguato un inganno che è la rinuncia alla propria responsabilità personale per consegnarsi all’autorità di un altro. Neanche Gesù ha accettato che questo avvenisse nei suoi confronti. Gesù non vuole che l’uomo si consegni a lui, ma desidera che sia libero, pensante, adulto e responsabile. Quando si rinuncia (ed è comodo) alla responsabilità personale, si attende sempre un leader e cioè un uomo o una donna forte che risolvano i nostri problemi. A tale manipolazione non sfuggirà nemmeno il nome di Cristo. Cioè molti discepoli facendo forza sul fascino che potrebbe suscitare il termine Cristo, che vuol dire re, inganneranno molti. Questo è lo schema autoritario, del potere assoluto, in cui chi ha autorità impone se stesso come legge. E perché? Perché dice e pretende di essere Cristo in terra. Ci sarà sempre la tentazione in qualcuno di sostituirsi a Gesù, affermando di essere il Cristo. Anche la chiesa stessa non è Gesù, è un'altra cosa e la chiesa non deve pensare di mettersi al posto di Gesù. Gesù è più grande della chiesa, i semi del vangelo vengono gettati anche al di fuori del tempio. Quando qualcuno pretende di essere Gesù, occorre smascherarlo, per salvarlo, per il suo bene.

Quinta uscita
“E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno care-stie e terremoti in vari luoghi: ma tutto questo è so-lo l'inizio dei dolori. Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tut-ti i popoli a causa del mio nome”. Cosa centrano i mali della storia con il fatto che i discepoli verranno perseguitati? Cosa centra che i discepoli perseguitati incominceranno a litigare tra di loro? La quinta uscita consiste nell’abbandonare lo schema del caprio espiatorio, che continua a fare morti e feriti. Quando c’è qualcosa che non va, occorre trovare il colpevole. E se non si riesce a trovarlo fuori, si inizia a cercarlo al proprio interno, per cui se il mondo dei poteri ci odia deve senz’altro essere colpa di qualcuno tra noi. Così tradimento e odio cominciano a serpeggiare tra i discepoli stessi… Quando questo avviene - e purtroppo avviene - sa-tana ha vinto una battaglia. Lo si vede dal “raffreddarsi dell’amore”, vera e propria visione infernale della vita. Come a dire che lì ci si arrende di fronte alla potenza del male perché appare insuperabile, e si viene a patti con esso. Da questo esito mortale possiamo e dobbiamo riprenderci sempre. Satana può vincere una battaglia, ma non deve vincere la guerra.

Sesta uscita
“Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine (tèlos)”.I popoli citati in questo versetto sono i medesimi che odieranno i discepoli nel corso della storia. Il discepolo va annunciare il vangelo proprio da coloro che lo odieranno. Questa è la novità che sconvolge sempre: vedere che le persone verso cui si prova odio, rispondono con l’amore: “Ma come? Noi li odiamo e loro ci a-mano??”. E se immediatamente questo atteggia-mento suscita perplessità, poi pone una domanda: “Qual è il loro segreto? Chi o cosa glielo fa fare?” E la risposta è una sola: Gesù di Nazaret e il suo Spi-rito, che ci ha detto che siamo uniti in una divina parentela. Qui lo schema dal quale uscire è quello autoreferenziale, giacché è sempre una determinata appartenenza a dire di sé che, se non è l’unica, resta comunque almeno la prima… In molti luoghi, davvero moltissimi, c’è un presunto centro (ombelico) del mondo. Naturalmente sono stati quelli di quel luogo a stabilirlo… O come l’autoreferenzialità che nasce dal tipo di ruolo: “Siccome tu non sei un prete…, dal momento che tu sei una donna…”. Occorre abbandonare questo modo di pensare e ri-partire dal battesimo per che rendendoci figli, ci spinge a vedere l’altro nell’unico modo in cui è possibile vederlo e cioè come un fratello.