22 maggio 2009

Il pacchetto sicurezza mette a rischio i diritti fondamentali della persona

Azione Cattolica Ambrosiana, Acli, Comunità di S. Egidio, Gruppo Promozione Donna e Movimento dei Focolari hanno sottoscritto un documento in merito al provvedimento varato dal Governo e alle norme relative all’immigrazione

In merito al “pacchetto sicurezza” e alle norme relative all’immigrazione, siamo preoccupati di vedere messi in discussione i diritti umani fondamentali, e proponiamo alcune riflessioni. È per noi fonte di perplessità ricorrere all’uso del termine “sicurezza” mettendolo in relazione alle modifiche delle norme sui ricongiungimenti familiari e sul riconoscimento dello status di rifugiato politico. La lunga serie di divieti, poi, declinati nel Disegno di legge n. 733/08, sembra far prevalere una logica repressiva. Lo dimostrano alcuni provvedimenti, oggetto di dibattito, relativi a chi non è in possesso del permesso di soggiorno:
- divieto di accedere agli atti dello stato civile; divieto di accedere ai servizi sociali- divieto di contrarre matrimonio e di inviare i soldi in patria tramite money trasfer;
inoltre:
- soppressione del divieto per il personale sanitario di segnalare la presenza dello straniero irregolare che chieda di essere assistito;
- introduzione del reato di clandestinità sanzionato con un’ammenda da 5 mila a 10 mila euro;
- prolungamento dei tempi di trattenimento nei Centri di identificazione e di espulsione (CIE);
- impossibilità di ottenere l’iscrizione anagrafica (che per i comunitari costituisce il provvedimento equipollente al permesso di soggiorno) in assenza di un’abitazione conforme ai regolamenti comunali.
Se le norme passassero l’Italia rinnegherebbe di fatto alcuni diritti fondamentali della persona, che si è invece impegnata a tutelare in sede di convenzioni internazionali. Inoltre va detto che:
1) Nel Disegno di legge non viene indicata nessuna norma volta a ridurre il fenomeno dell’irregolarità. Questa, nel nostro Paese, ha raggiunto il numero di 650 mila persone, soprattutto per l’irrazionalità dell’attuale sistema di regolazione (dati dai Dossier Caritas: la rilevazione precedente aveva stimato il numero degli irregolari in 364 mila unità. La situazione è dovuta per più del 70% non a “sbarchi”, ma, paradossalmente a irregolarità “sopravvenute” dopo un ingresso regolare). Su questo punto, occorre superare una “grande ipocrisia” secondo la quale si può fare ingresso in Italia solo dopo la stipula del contratto di lavoro, un “dopo” che rischia di non avvenire mai, o troppo tardi. Va studiato un diverso meccanismo per far incontrare domanda e offerta una volta giunti nel nostro Paese.
2) Le norme sembrano ignorare che l’ingresso e il soggiorno irregolari non sono semplicisticamente catalogabili come forme di “illegalità”: chiunque, per il fatto di essere una persona umana, porta con sé un bagaglio minimo di diritti, che vanno rispettati; diritti scritti a chiare lettere nell’art. 2 del Testo Unico dell’immigrazione.
3) Infine, queste norme - come tutte quelle dettate da esigenze di immagine e di consenso - non appaiono immuni da elementi di irrazionalità. Se la “penalizzazione” dell’ingresso illegale venisse davvero applicata, si prospetterebbero in Italia 650 mila processi, volti a comminare sanzioni pecuniarie che nessuno straniero vorrà o potrà pagare, e che comunque si svolgeranno a totale carico dei contribuenti, ivi compresa l’assistenza legale agli imputati mediante il gratuito patrocinio.
Non si può leggere qualsiasi fenomeno sociale complesso nella sola logica della sicurezza e della repressione. Occorre invece porre in essere una politica di incentivi al rispetto della regolarità, che preveda il prolungamento del permesso di soggiorno per chi dimostra stabilità di occupazione e l’abolizione del divieto di reingresso per chi ottempera all’espulsione e regolarizza la sua posizione. Devono essere messi in atto tutti quegli interventi promozionali, di sostegno e di integrazione, quali vie lungimiranti per edificare nel tempo una società, inevitabilmente, multietnica e multiculturale.