08 febbraio 2020

Tre parole anche per i nostri Oratori

C’era anche una rappresentanza di Gratosoglio venerdì 31 gennaio alla Messa per gli Oratori, voluta nell’ambito di Oratorio 2020, il cammino in cui gli oltre mille oratori della diocesi di Milano stanno ripensando i propri progetti educativi.
Il Duomo, dove si è svolta la celebrazione, era affollatissimo di genitori, educatori e bambini, anche molto piccoli. Don Giovanni e i nostri chierichetti si sono sistemati nel transetto destro, insieme agli oltre duecento sacerdoti e ai circa quattrocento ministranti. Il resto del nostro gruppo, tranne suor Agnese, è riuscito invece a sedersi nella navata sinistra, in un punto dove la celebrazione poteva essere seguita tramite uno schermo.
L’introduzione di don Mario Antonelli, Vicario episcopale per l’educazione e la celebrazione della fede, conteneva la certezza che lo sguardo d’amore del Signore si posa ancora sugli oratori, «antichi e ancora nuovi e preziosi». È lo stesso sguardo con cui, nel brano del Vangelo secondo Marco scelto per l’occasione, Gesù fissò quel tale che cercava risposte per la propria felicità.
L’Arcivescovo monsignor Mario Delpini, nella sua omelia, ha ribadito più volte: «La comunità cristiana è incaricata di offrire la risposta di Gesù» al grido che indica un desiderio di vita felice, vera, buona per tutti. Una risposta, però, che non è aggressività né rassegnazione. È piuttosto la presenza più accessibile, in cui tutti sono benvenuti.
L’oratorio, quindi, è «una delle forme geniali», la più diffusa in diocesi, «che la comunità cristiana ha creato per accompagnare le giovani generazioni perché imparino a percorrere la via della vita». Un’intuizione fatta propria da san Giovanni Bosco, come pure dal Beato Andrea Carlo Ferrari, che nei suoi anni sulla cattedra di sant’Ambrogio volle un oratorio in ogni parrocchia, e dagli educatori anche laici che, in oltre cent’anni, hanno dato vita a questa realtà.
Dalle letture da poco proclamate, l’Arcivescovo ha tratto tre indicazioni che sintetizzano la proposta educativa oratoriana. La prima è il nome stesso di Gesù, da conoscere e seguire, col quale parlare. La seconda è «Correre», ossia «il modo di vivere di chi ha conosciuto Gesù e sperimenta il suo amore che salva», descritto dall’apostolo san Paolo nella Lettera ai Filippesi. La terza è rappresentata dalle «Opere di misericordia» tramite le quali la fede si fa operosa, come sprona l’apostolo san Giacomo nella sua Lettera: in questo modo, chi vive l’oratorio sa anche uscire da esso per stare con chi è solo.
Sono indicazioni che nei nostri oratori cerchiamo di tradurre, mediante proposte educative che lascino un segno duraturo e non si riducano solo a momenti piacevoli da vivere insieme. Aver voluto il nuovo Oratorio-Centro Parrocchiale San Barnaba, che presto vedrà l’inaugurazione ufficiale, corrisponde esattamente a proporre all’intero quartiere uno stile di vita diverso da quello che invece offre la logica del mondo.
Anche il Campus di Educazione alla Pace, che ci apprestiamo a vivere per la quinta volta, non è slegato dalla proposta educativa degli oratori di Maria Madre della Chiesa e San Barnaba. Infatti, propone un modello diverso per vivere insieme, necessario non solo al nostro territorio. Non potevamo che accogliere con favore, perciò, l’ultimo «editto» di monsignor Delpini, nei saluti prima della benedizione finale: un impegno a radunarsi, alle 6.28 delle mattine di Quaresima, per pregare insieme a lui per la pace.
Al termine della Messa siamo usciti in piazza del Duomo per partecipare al flash-mob, ossia al raduno festoso, organizzato dalla Fondazione Oratori Milanesi. Abbiamo contribuito a comporre la scritta «Oratorio 2020» con le torce dei nostri telefoni cellulari; precisamente, eravamo in corrispondenza della lettera «R».
Emilia Flocchini