19 marzo 2020

Arcabas, "Guarigione del cieco nato"


Sono nato cieco.

Percepisco il mondo attorno a me, ma non lo vedo, lo sento. Spesso vi inciampo, nonostante la mia capacità di muovermi tra ostacoli invisibili e infidi.
Chiedo aiuto, ma non sempre è quello giusto e in questo buio totale sono solo, debole, minacciato. Credo, però, che potrò vedere, lo credo davvero, come posso non crederlo? È la speranza che mi tiene in vita. Per questo chiedo.
E ora vedo! Quale meraviglia! Resto lì con la bocca aperta, spalancata e muta per lo stupore.
Ho sentito le tue mani, Signore, prima delle parole. Mani calde, sicure, mani che amano. Le mie mani erano congiunte, in una preghiera di speranza, le hai prese nelle tue. Ti sei fermato, mi hai sentito, hai colto il mio grido. Era dolore, smarrimento, lo hai capito. E mi hai dato un senso, mi hai dato il valore che non sentivo.
Ancor prima di vedere, di rendermi conto di vedere, mi sono sentito illuminato. La luce a volte la senti, ti investe come un abbraccio. Così mi sono fermato, impietrito, quasi senza respirare. Ho pensato di essere morto.
Qualcuno forse lo ha sempre pensato, ho sentito la pelle del mio volto raffreddarsi, mi dicevano “Sei grigio? Che ti succede?”. Era fango. Ho avuto paura, ma ho avuto fede. E lavati gli occhi ho visto. Ora sono sicuro di vivere. Sento il sangue che scorre, sento il calore che dalle tue mani si è irradiato in tutto il corpo. Sono rinato, questa volta sono nato tutto. E rinascere è stato come sprofondare in un mondo di colori.

Ho due occhi nuovi, grandi, vivi.
Non riesco più a chiuderli, sono illuminato,
ogni cosa è illuminata
e tutto quello che vedo è parte di me
e io mi sento parte di te, Signore.

Arcabas è stato definito il “pittore della fede felice”: lui stesso, intervistato sul suo modo di dipingere, ha risposto che tutto scaturisce dal suo essere uomo di fede. Dal credere al vedere: è la fede ad animare il suo sguardo e il talento a dare forma ai racconti. Una catechesi per immagini che sollecita non solo la parte cognitiva, ma anche quella sensibile dell’osservatore, coinvolto in un’esperienza di spiritualità sinestetica.
Il quadro è un’illustrazione che descrive il fatto con tratti semplici e incisivi, ma anche un discorso simbolico affidato ai personaggi e soprattutto ai colori, in un continuo contrasto di toni vividi e “vivi” e toni freddi e spenti. Lo sfondo rosso, quella forma sul capo del cieco in cui si incontrano i colori, la linea delle mani di Gesù che incorniciano le mani giunte del cieco e conducono ai suoi occhi, luogo fisico e simbolico del racconto, delineano lo spazio sacro in cui è avvenuto il miracolo. E cos’è il miracolo se non l’irrompere dello straordinario nella dimensione quotidiana, la trasfigurazione della ordinarietà, la sua nuova configurazione?
Tutto converge sugli occhi del cieco, due nuovi occhi, bianchi, vividi, spalancati, come un innesto, una trasformazione, una trasfigurazione. Le dita di Gesù toccano gli occhi e infondono nelle orbite la vista, una vista che è per il cieco nuova vita, un battesimo, un modo nuovo di stare nel mondo e con gli altri. Il suo stupore e quella bocca aperta, non appena troveranno le parole in cui riversare la gioia, si trasformeranno in gratitudine e condivisione.
Ogni nascita e le mille rinascite dell'Umanità avvengono in un fascio di luce, sono doni di luce.

Testo tratto dal sussidio per animatori pubblicato sul sito della Diocesi di Piacenza-Bobbio