13 marzo 2020

Commento al Vangelo della III domenica di Quaresima di don Walter Magni


Tanto era sciolto e ironico il dialogo tra Gesù e la Samaritana domenica scorsa, quanto dura e carica di minacce di morte è la discussione tra Gesù e alcuni Giudei a riguardo di Abramo, che ci racconta il Vangelo di oggi. Con un particolare interessante: questi Giudei, stando al vangelo di Giovanni, “avevano creduto in lui”, cioè avevano cominciato a dare credito a Gesù, Gli aveva dato inizialmente fiducia. Come illudendosi nei Suoi confronti.



Il contesto.

Non sono giorni facili. Gesù Si sente spiato, controllato. Con la Sua predicazione ha dato inizio a un movimento spirituale che suscita anche tante domande. Giovanni annota che “quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto. I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: ‘Dov’è quel tale?’. E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: ‘È buono!’. Altri invece dicevano: ‘No, inganna la gente!’. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei” (7,10-13). E mentre i capi dei Giudei vogliono arrestarLo, “nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora” (7,30). E ci si potrebbe allora domandare: come è possibile che una religiosità come quella ebraica abbia cercato di annientare Gesù per quello che aveva detto e compiuto con amore appellandoSi allo stesso Dio? È possibile che serpeggino certe malattie dentro le nostre religioni, respingendo chi dice di parlare nel nome di un Dio buono e misericordioso? Risuonano pertanto dure le parole del sommo sacerdote Caifa durante il Sinedrio che delibererà la morte di Gesù: “Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione” (Gv 11,49-50). Si comprende pertanto il fatto raccontato al termine del Vangelo odierno, che annota che quei Giudei allora “raccolsero delle pietre, per gettarle su di lui”, mentre Gesù “si nascose e uscì dal tempio”. E noi sappiamo che fu solo una morte rimandata.



Lo spaesamento di Abramo.

Questi Giudei, che dialogano con Gesù senza ascoltarLo, sono segno di un immobilismo mortale, mentre si nascondono dietro gli schemi della loro identità religiosa: “Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno”; “Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?”. Rivendicano una appartenenza ad Abramo senza mettersi in gioco, senza compromettere la loro coscienza e soprattutto una adesione coerente alla spiritualità vivace e sincera di Abramo, che non era certo l’emblema dell’immobilismo. Di uno stile di vita statico e rigido. Proprio l’incontro con il Dio unico e creatore lo aveva infatti obbligato a mettersi in gioco, in movimento, rompendo tutti gli schemi della sua appartenenza religiosa. Come smosso radicalmente da una parola che si era sentito rivolgere personalmente da Dio: “Vattene dalla tua terra / dalla tua parentela / e dalla casa di tuo padre / verso la terra che io ti indicherò. / Farò di te una grande nazione / e ti benedirò” (Gen 12,1-2). Perché Abramo passa da una vita in cui avrebbe potuto tenersi ben stretto tutto ciò che aveva, a una vita che finisce per riporre ogni certezza nella promessa di una discendenza umanamente improbabile e che si sarebbe comunque realizzata in là nel tempo, oltre la sua esistenza e oltre l’esistenza di Sara sua moglie? Abramo non ha mezze misure: si mette in cammino e si fida. Come un innamorato ammaliato dal profumo della donna amata. Con la libertà di andare verso una terra promessa, dove il sogno si identifica con la realtà.



“Se rimanete nella mia parola”.

Gesù irrita i Suoi interlocutori perché chiede loro di passare dalla rigidezza della loro appartenenza religiosa a una relazione con Dio più liberante. Questo li sconvolge: “se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Come dicesse: dove vi potrete realizzare? Dove ancora sperimentare l’ebbrezza della libertà? Fidandovi di me. Come aveva detto alla Samaritana: fidati dell’acqua che io ti posso dare! Lasciati prendere dal soffio dello Spirito! In cosa consiste la nostra appartenenza religiosa? Una sorta di scaramanzia sul presente, con la quale difenderci dal mondo e dai suoi virus o una fiducia che ogni giorno si rinnova, rimettendoci continuamente in cammino, come Abramo? I Giudei che discutevano con Gesù giocavano in difesa, rimanendo impermeabili al nuovo. Sino a nascondersi in modo ossessivo dietro quel noi: “noi siamo discendenza di Abramo (…). Noi non siamo nati da prostituzione (…). Noi abbiamo Dio per Padre”. All’opposto di Abramo, uomo degli spazi aperti, dal cuore libero, dallo sguardo puntato al cielo: “Poi Dio lo condusse fuori e gli disse: ‘Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare’. E soggiunse: ‘Tale sarà la tua discendenza’” (Gn 15,5). Quelli barricati nel loro tempio e Abramo invece fuori, a guardare le stelle! Diventando così benedizione per la terra intera: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gn 12,3). E così Abramo, contemplando le stelle, giungerà a vedere Gesù: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia”.

don Walter Magni

portavoce dell’arcivescovo Delpini