27 marzo 2020

Commenti al Vangelo della V Domenica di Quaresima

Le arance di Lazzaro e la bara-su-misura
di don Marco Pozza

In quella casa Cristo amava mostrarsi veramente uomo. Era come se, per il tempo che vi sostava, lasciasse la sua divinità fuori dalla porta, quasi fosse un qualcosa d’ingombrante in quello spazio amico. Quella casa è il numero civico di tre fratelli: Marta, Maria, Lazzaro. Gente alla-buona, che non ha mai chiesto il minimo favore all’Amico. Forse è proprio per questo che vi fa sempre ritorno. Da quanto si conoscessero, il Vangelo non esprime parola. Il tutto che dice vale molto di più: «Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro». La qualità di modo a scapito della quantità di tempo: sarà sempre così dietro a Cristo. Questo è tutto.
Un giorno capitò un fatto strano. Cristo era in trasferta in Transgiordania e, improvvisamente, gli viene mandata un’ambasceria. Il contenuto è da vertigini: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». L’oggetto del discutere è Lazzaro, e dunque non uno qualsiasi: l’amico-personale di Cristo. Ciò che t’immagini è che Cristo dia un’accelerata, firmi un improvviso cambio di percorso e s’affretti prima possibile a Betania. Niente di tutto ciò, esattamente l’opposto: «Quando sentì che era malato rimase due giorni nei luoghi in cui si trovava». Siccome Lazzaro ha bisogno, l’Amico pare fregarsene. E due giorni, per chi ha appuntamento con la morte, sono un lasso di tempo enorme, decisivo, definitivo. Letale.
Succede sempre così, con Cristo: quando serve, fatalità, è sempre lontano. Dista almeno il tempo che serve per lasciare che la morte faccia il suo corso.

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Le lacrime di chi ama, una lente sul mondo
di padre Ermes Ronchi

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è la pagina dove Gesù appare più umano. Lo vediamo fremere, piangere, commuoversi, gridare. Quando ama, l’uomo compie gesti divini; quando ama, Dio lo fa con gesti molto umani. Una forza scorre sotto tutte le parole del racconto: non è la vita che vince la morte. La morte, nella realtà, vince e ingoia la vita. Invece ciò che vince la morte è l’amore. Tutti i presenti quel giorno a Betania se ne rendono conto: guardate come lo amava, dicono ammirati. E le sorelle coniano un nome bellissimo per Lazzaro: Colui–che–tu–ami.

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Commento
di don Pablo M. Edo, dell’Opus Dei

La quinta domenica di Quaresima ci presenta il racconto della risurrezione di Lazzaro, il settimo segno o miracolo narrato da san Giovanni, l’ultimo e il più portentoso, quello che rivela Gesù Signore della vita e della morte.
San Giovanni sottolinea che Marta, Maria e Lazzaro erano amici di Gesù. Frutto di questa reciproca familiarità, le sorelle inviano un messaggio al Maestro per informarlo che il fratello si è ammalato. L’evangelista aggiunge che “Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro” (v. 5). E più avanti, con il versetto più breve della Bibbia, afferma che Gesù si commosse e “scoppiò in pianto” (v. 35). Questo affetto del Signore ha sempre destato lo stupore dei santi e il loro desiderio di ricambiare. San Josemaría Escrivá de Balaguer si esprimeva così: “Gesù è tuo amico. L’Amico. Con un cuore di carne, come il tuo. Con gli occhi, dallo sguardo amabilissimo, che piansero per Lazzaro... E così come a Lazzaro, vuol bene a te”.

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